La baronessa di Carini

Referenze

La baronessa di Carini

| Paola Rocco

La baronessa di Carini di Luigi Natoli (Palermo, 1892; pubblicato oggi da Lunaria Edizioni con le fiabesche illustrazioni di Tamara Bellezza) attinge alla leggenda popolare nata intorno all'assassinio di Caterina La Grua, uccisa per motivi d'onore dal barone La Grua suo padre. Sullo sfondo, il feudo di Carini, immerso nella quiete di un'assolata Sicilia del XVI secolo: fondale abilmente tratteggiato dal Natoli, che appartiene all'illustre schiera degli autori di feuilleton, pubblicando a puntate sui quotidiani - in particolare sul Giornale di Sicilia - centinaia di racconti e una trentina di romanzi e “agevolando il processo di fidelizzazione di un pubblico sempre più vasto di lettori, che nelle portinerie umide, buie e maleodoranti della sua Palermo divoravano a voce le avventure fresche d'inchiostro, sempre proiettate su un fondale ben ricostruito” (dalla prefazione di Salvatore Ferlita).
Declinato in innumerevoli fogge nella tradizione dei cantari siciliani, il caso della baronessa è molto controverso: “A ingarbugliarlo appunto le tante varianti in circolazione, che nel tempo hanno animato le piazze grazie ai cantastorie”, varianti poi confluite nelle due versioni pubblicate dallo studioso Salomone-Marino tra il 1870 e il 1914. Non poco distanti l'una dall'altra, la prima (1870-1873) vede la giovanissima Caterina vittima della follia omicida del padre, il barone di Carini don Vincenzo La Grua e Talamanca, deciso a lavare col sangue l'onta arrecata al buon nome della famiglia dalla relazione intrecciata dalla ragazza col cugino, Ludovico Vernagallo. La seconda (pubblicata nel 1914) si basa invece sull'assassinio della baronessa Laura, moglie del La Grua, uccisa dal padre don Cesare Lanza insieme all'amante.
Un giallo storico poi risolto grazie ai documenti rinvenuti presso l'Archivio di Stato di Palermo e nell'Archivio Storico Nazionale di Madrid, che accreditano per autentica la seconda versione: la stessa sposata dagli autori dello sceneggiato Rai del '75, L'amaro caso della baronessa di Carini, diretto da Daniele D'Anza e interpretato, tra gli altri, da Ugo Pagliai, Janet Agren, Adolfo Celi e Paolo Stoppa (un'altra trasposizione è stata realizzata nel 2007, sempre per Raiuno, dal regista Umberto Marino, con Luca Argentero e Vittoria Puccini).

Janet Agren e Ugo Pagliai nello sceneggiato Rai del '75

Janet Agren e Ugo Pagliai nello sceneggiato Rai del '75

Questa creazione di Luigi Natoli - che in seguito accoglierà la versione storicamente più fondata - sposa invece la prima lettura proposta da Salomone-Marino (“Perfetta l'ambientazione ricreata, che alterna una natura che palpita di empiti primaverili... a un paesaggio cupo, prigioniero delle tenebre, attraversato da rumori inquietanti”, S. Ferlita): mettendo in scena la tragica storia d'amore tra l'adolescente Caterina e il cugino, che qui si chiama Vincenzo Vernagallo. Le famiglie Vernagallo e La Grua sono legate da strettissimi vincoli di parentela, e Vincenzo è figlio della sorella del padre di Caterina (per cui se i due volessero sposarsi molto probabilmente non ci riuscirebbero o comunque dovrebbero chiedere una dispensa apposita buttandosi ai piedi del Santo Padre, soluzione a un certo punto vagheggiata dal giovane Vernagallo).
Vincenzo - che di anni ne ha appena ventisette, ed è sempre vissuto più fra' libri che fra' l'armi, come costumavano i giovani cavalieri - scorge per la prima volta Caterina in una fredda mattina di gennaio, leggendo un'ode di Orazio sul terrazzino di casa, la magnifica casa paterna in via del Lauro. Dall'altra parte della strada, in un vicolo di traverso vicino al palazzo dei Vernagallo, la ragazza indugia fatalmente a guardare il cielo sulla soglia della loggia, e la sua figura snella e delicata si stacca nettamente nel quadrato buio del finestrone, come sul fondo di un quadro.
Aveva i capelli biondi, non pettinati ancora, cadenti sul collo bianchissimo e perfetto... Il volto era d'un pallore di perla, al quale gli occhi turchini davano un'espressione di malinconia languida e dolce...”: perché Caterina è affetta da umor melanconico, e si pensa che un soggiorno nel feudo di Carini, lontano dalla chiassosa e stancante Palermo, potrebbe giovarle.

Vittoria Puccini nel ruolo della Baronessa di Carini

Prontamente richiamata all'interno da un cavaliere bieco e severo, che la sostituisce al balcone scrutando in giro alla ricerca di sguardi indiscreti, l'adolescente è però destinata a lasciare un'impressione profonda nell'animo del cugino (“Rimase sulla terrazza, col suo Orazio fra le mani, la bocca spalancata, gli occhi fissi sulla loggia...”), fin'allora escluso, per motivi d'opportunità, dalla frequentazione della giovane e dei suoi familiari: la madre Laura, il padre Vincenzo e tre fratelli, l'erede al trono Cesarino e le due minori, Eleonora e Maria. “Le due famiglie, per ragion di interesse, nel passato erano state divise da lunghe e aspre liti”, mai interamente sopite.
Deciso a saperne di più sulla ragazza che fin dalla sua prima apparizione non smette di sconvolgergli i pensieri (obbligandolo a cercare un qualche sollievo scrivendo la notte, al lume di candela, tutto quello che sentiva e soffriva in una specie di diario: almeno in questa prima fase, il Vernagallo ha infatti ben chiari i rischi della sua passione e non vuole confidare ad alcuno i suoi tormenti), Vincenzo attacca discorso per strada col fratello di lei, accompagnandolo dal maestro di scherma e iscrivendosi anch'egli alla scuola d'armi, e rinnova la conoscenza col barone di Solanto, vicino di casa dei La Grua.

Vittoria Puccini e Luca Argentero nello sceneggiato Rai del 2007

Vittoria Puccini e Luca Argentero nello sceneggiato Rai del 2007

Tutti questi espedienti però non approdarono a nulla... della qual cosa disperavasi”. Natoli è abile nel descrivere l'acuirsi della frustrazione e, per conseguenza, della passione del protagonista, al culmine di tutte queste manovre premiato soltanto dalla fugace apparizione della sottile e bianca forma della fanciulla, attraverso i vetri. Fino a quando un giorno, interrogando con bella maniera e con accorgimento don Cesarino, il Vernagallo non spunta l'insperata anticipazione dell'imminente soggiorno in campagna di Caterina, malata appunto d'umor melanconico e per questo destinata a trascorrere qualche tempo nella quiete di Carini, dove l'aria fine e salubre le avrebbe ridato la salute.
Partito già l'indomani alla volta del suo feudo di don Asturi, a un passo dal castello dei La Grua (un castello nero e triste, dove la ragazza resterà in compagnia di madre e sorelle finché non avrà riacquistato il buon umore), Vincenzo affida la prima presa di contatto con la famiglia in vacanza al fedele servitore Scipione Henna. Scoprendo, grazie alle chiacchiere imbastite da quest'ultimo col paggio dei La Grua, che la famiglia è appunto arrivata in castello per rimanervi un pezzo; che l'illustrissimo signor barone ripartirà tuttavia l'indomani per Palermo, richiamato da certi affari; e che in Cariniresteranno quindi la moglie, donna Laura con le tre figlie e le schiave. Le quali, appressandosi la domenica, non mancheranno certo d'andare a sentir messa nella Chiesa Madre del borgo...

Il castello di Carini
Il castello di Carini

Agevolata dall'improvvisa rilassatezza della situazione - per quanto protette dal consueto bozzolo del rango, le La Grua sono pur sempre in villeggiatura e i garbati servigi del cugino vengono accolti abbastanza benevolmente -, l'intesa tra Vincenzo e Caterina si sviluppa rapidamente. Con quel primo incontro appunto nella chiesa di Carini, dove, circondato da una folla di contadini neri e feroci, il Vernagallo va a sentir messa fin dall'alba, perdendosi nei suoi pensieri e venendo bruscamente richiamato all'ordine da una devota scandalizzata da quel contegno da eretico, che a dispetto del rango gli ricorda l'obbligo d'inginocchiarsi durante l'elevazione (e lui, pur aggrottando le sopracciglia, esegue, ripiombando all'istante nel sogno e restando poi in ginocchio per tutta la funzione).
E con l'arrivo di Caterina avvolta nel suo mantello, bianca e serena come una statua (in perfetta adesione al proprio ruolo virginale), che sentendo su di sé lo sguardo di lui perde il filo (“E allora non capiva bene il senso delle parole, ed era costretta a rileggere”); e nell'uscir di chiesa, invece di precedere come al solito le sorelline, resta indietro...
L'incontro decisivo avviene il venerdì santo, nella piazza parata a festa dove donna Laura, come signora del luogo, non poteva mancare e le due piccole, Eleonora e Maria, figurano persino nel corteo, precedendo la bara del Cristo morto con le altre ragazze e bambine del borgo (e davvero bellissima è la descrizione della macabra cerimonia). Mentre don Vincenzo, inginocchiato accanto a donna Caterina, ne scorge la nuca bianca, sopra la quale alcune ciocchette morbide e sottili, indorate dal lume delle torce, intrecciavano una rete d'oro; provando desideri tormentosi innanzi a quella carne così voluttuosamente velata e trovando infine il coraggio di balbettare io vi amo...
“Da lì l'escalation della passione e da lì, però, anche la catabasi finale, accelerata da un urticante e libidinoso frate Arcangelo, che si farà vettore di una soffiata funesta” (S. Ferlita): con Caterina che accoglie infine Vincenzo nella stanzetta al pianterreno, la prima di molte notti (adducendo poi il proprio affetto per la zia, l'anziana donna Ilaria, a pretesto per fermarsi in campagna mentre il resto della famiglia torna a Palermo...). E con quel frate dal sorriso infernaleche scopre l'intesa tra gli amanti e prima tenta di ricattar la ragazza e poi denuncia Caterina al La Grua, firmando così la sua condanna a morte.

Janet Agren e Ugo Pagliai nello sceneggiato Rai del '75

Janet Agren e Ugo Pagliai nello sceneggiato Rai del '75

Il miserabile spione giunge a notte alla casa del barone: che s'è addormentato, stanco per la caccia, davanti all'ampio braciere di ottone in cui ardeva il fuoco, mentre la moglie ricama fiori di seta e i lembi rossi del tramonto solcano il grigio cupo del cielo. Quadro di domestica e quasi fiabesca quotidianità (percorso tuttavia da una sottile inquietudine: “Nel silenzio della sala v'era qualcosa di grave e pauroso”, e a cena donna Laura rovescerà il sale...), squarciato appunto dalle rivelazioni di frate Arcangelo: che il giorno dopo l'assassinio della ragazza verrà trovato morto sulla piazza del paese.
Di don Vincenzo La Grua, questo padre che alla fine del racconto del frate scoppia in singhiozzi, abbandonandosi poi  a una collera sorda e profonda e uscendo a cavallo nel cuor della notte per andare a uccidere la figlia, resta l'ansia sottile mirabilmente suggerita dal Natoli dopo l'episodio della saliera rovesciata e l'ulteriore accenno di donna Laura al sogno della notte passata: “Ho sognato uva nera, e voi lo sapete, vuol dire lagrime”.
Con quella domanda apparentemente oziosa sull'assenza del figlio (“Cesarino non è tornato?”) e il restare alzato ad aspettarlo nel silenzio della casa immersa nel sonno (“Il signor don Vincenzo tirò il braciere innanzi a lui, vi stese le mani per riscaldarsi, e si immerse nei suoi pensieri”: anche i baroni siciliani del XVI secolo aspettavano alzati i figli). E con quel colpo di martello al portone, lì per lì salutato con sollievo come il segnale del ritorno di Cesarino (“Non ha dunque le chiavi, don Cesare?”, altra domanda di sorprendente modernità...): e che invece annuncia l'ingresso in casa della sventura portata dalla miserabile soffiata di frate Arcangelo.
Di Caterina, inseguita per le stanze del castello e poi uccisa dal padre a colpi di spada (o meglio, la pugnalata decisiva gliela dà il servo bieco e triste del barone, mentre quest'ultimo, accecato dal sangue, non riesce a estrarre la spada dal corpo di lei e urla appunto all'altro di finirla), non resteranno alla vista dei famigli accorsi alle urla altro che le belle chiome, che uscendo di sotto il mantello fluivano come un rivolo d'oro sul pavimento, e la mano aperta, cerea, sulla parete bianca; videro un rigo di sangue che partendo dalla mano solcava il muro.

Vittoria Puccini nel ruolo della Baronessa di Carini

Vittoria Puccini nel ruolo della Baronessa di Carini

Prima dell'inevitabile femminicidio per motivi d'onore, Natoli fa dunque in tempo a tratteggiare con sorprendente facoltà di penetrazione psicologica il personaggio del La Grua: inasprito dalla consapevolezza degli anni che passano e in fondo geloso del vigore giovanile del figlio e della bellezza in fiore di Caterina, appena sedicenne e già oggetto di una proposta di matrimonio da parte del fratello del barone di Solanto (proposta poco gradita al La Grua e tra l'altro, assieme all'umor melanconico, all'origine del soggiorno a Carini della ragazza, per evitar qualche guaio).
Quell'illudersi d'essere ancora giovani, ridotto in frantumi dalla constatazione che la propria figlia può amare ed essere amata (amara sorpresa di cui, per quanto ovviamente con altri accenti, si farà portavoce nel Gattopardo pure il principe di Salina, conversando con padre Pirrone): con la garbata sottolineatura di donna Laura - “Non vorreste dire certamente che siete forte come quando avevate venti anni” - e la brusca puntualizzazione del barone: “Noi vecchi siamo di un'altra tempra, non siamo di stoppa come questi giovani d'oggi... Con questi pugni mi sento ancora capace d'atterrare un uomo”. E col sorriso indulgente e a conti fatti tragico della baronessa, consapevole che il suo signor marito non ne perdonava mai una ai giovani...

 

La baronessa di Carini

di Luigi Natoli
Lunaria - 2021

Condividi su
Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

Articoli correlati

Seguici

Contattaci

Temi

Contattaci

  • Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.


©2021 Massi Dicle. All rights reserved.
Privacy & Cookie policy.
Powered by microcreations.it