Passo doppio, lunedì 20 e martedì 21 marzo, per Il commissario Ricciardi 2, la serie di Raiuno tratta dalla saga di Maurizio de Giovanni (che, con Salvatore Basile e Viola Rispoli, ne firma la sceneggiatura) e diretta da Gianpaolo Tescari. Ad andare in scena, in questa finale di stagione, Serenata senza nome e Rondini d’inverno, che chiudono (per ora) la narrazione delle vicende investigative, sentimentali e umane del barone di Malomonte Luigi Alfredo Ricciardi (un eccellente Lino Guanciale): commissario della regia questura nella Napoli del ventennio fascista, diretto superiore del brigadiere Raffaele Maione (Antonio Milo), involontario testimone dell’ultimo pensiero dei trapassati, renitente innamorato della maestra Enrica Colombo (Maria Vera Ratti) ed evasivo oggetto d’amore pure per Livia Lucani, artista lirica di fama trasferitasi nel capoluogo campano appunto per condurne sul campo la seduzione (Serena Iansiti), e per la contessa Bianca Palmieri di Roccaspina, la donna più bella di Napoli (Fiorenza D’Antonio).
In Serenata senza nome a prender campo è l’omicidio del ricco commerciante Costantino Irace (Ferdinando Maddaloni), trovato cadavere in un vicolo con addosso i segni di un furibondo pestaggio. Il colpo che l’ha ucciso, un gancio sinistro alla tempia destra, sembrerebbe accreditare come colpevole l’ex pugile Vincenzo Sannino (Luigi Miele). Campione di fama mondiale (sebbene la decisione d’abbandonare la carriera agonistica gli abbia fruttato le ire della stampa italica e persino una risentita missiva del duce), l’uomo è appena rientrato a Napoli dagli Stati Uniti, dopo un ultimo terribile incontro che, per quanto involontariamente, l’ha visto uccidere l’avversario, caduto morto sul ring. Traumatizzato e oppresso dal rimorso, Sannino ha appunto deciso di lasciare la boxe e tornare a Napoli, sulle tracce di un sogno d’amore che l’accompagna fin dall’infanzia: quello per l’ancor giovane e bella Cettina Taliercio (Rosanna Sapia).
La quale però, mentre l’antico fidanzato stava in America, s’è unita in matrimonio proprio con Irace e adesso non può far altro che ascoltare, dietro la finestra chiusa, la struggente Serenata senza nome che Vincenzo (con un certo disprezzo per le convenzioni) le ha dedicato subito dopo esser tornato in città, suscitando il comprensibile disappunto del marito: d’altronde sfidato pubblicamente dall’ex pugile, la sera stessa dell’omicidio, a risolvere la questione tra uomini. I due, rispettivamente con moglie e amante al seguito, si sono incontrati e affrontati al cinematografo, tra il deliziato stupore degli astanti.
Qualche ora dopo, Irace - recatosi al porto alle prime luci dell’alba per concludere l’acquisto di una partita di tweed - è stato colto di sorpresa e pestato a morte: un vero, furibondo massacro condotto, sembrerebbe, appunto sull’onda di un antico, furibondo rancore.
Nel complesso fedele al romanzo omonimo di de Giovanni anche questo terzo episodio, che introduce però due novità: la sete di libertà del più grande dei fratelli Maione, Giovanni, che vive ormai da anni sotto il peso della scomparsa del fratello maggiore Luca, caduto in servizio, e per questo si vede negare da entrambi i genitori il permesso di diventar poliziotto anche lui (nel tentativo di affermare in qualche modo la sua personalità, il ragazzo si dà a cattive compagnie, ma la situazione si risolverà felicemente nel quarto episodio, Rondini d’inverno). E la sempre più solida relazione tra il dottor Modo (Enrico Ianniello) e la giovane prostituta Lina (Marianna Robustelli), destinata, però, a un finale tragico, ancora in Rondini d’inverno (il figlio della donna, cresciuto lontano da Napoli, per non sfigurare di fronte agli amici che hanno scoperto Lina in un bordello, massacra la madre a calci e pugni, riducendola in fin di vita).
Entrambe le vicende appaiono sostanzialmente assenti nella versione romanzesca: dove, per quanto il personaggio di Lina esista e venga ricordato da Modo con molto affetto, non si accenna a una vera relazione, e il figlio del brigadiere Maione, pur risultando schiacciato sotto il peso del ricordo di Luca (come tutta la famiglia, d’altronde), non spinge la sua ribellione al punto da darsi al ladrocinio, in aperta sconfessione dei valori materni e, per forza di cose, anche e soprattutto paterni...
Quarto e ultimo episodio, Rondini d’inverno vede invece in apertura di sipario (nel senso letterale del termine) l’assassinio di Fedora Marra, moglie dell’anziano attore Michelangelo Gelmi. Un tempo personaggio di fama ma attualmente ridotto al ruolo di spalla di Fedora, molto più giovane di lui e nome di spicco dello spettacolo in scena al Teatro Splendor, l’uomo in realtà uccide la moglie ogni sera, con una pistola di scena caricata a salve, al culmine di una scenata di gelosia. Ma tra i proiettili stavolta ce n’era uno letale: spetterà al commissario, affiancato dal consueto Maione (pure lui, come già accennato, alle prese con una piccola tempesta familiare) cercar di stabilire se il colpevole sia effettivamente Gelmi o qualcuno degli altri protagonisti del microcosmo teatrale che si espone ogni sera agli sguardi del pubblico pagante...
In ripresa gli ascolti del terzo episodio, 3.756.000 spettatori per il 20,9% di share, che premiano un prodotto ben confezionato e ben diretto: molto bella la scena del balcone, con Enrica e Luigi Alfredo che si guardano e ridono sotto la pioggia battente, increduli d’aver abbandonato infine timori e reticenze (la ragazza, come Ricciardi ha potuto constatare dalla propria consueta postazione dietro la finestra della camera da letto, ha appena rifiutato di fidanzarsi con Manfred von Brauchitsch/Christoph Hülsen, l’ufficiale conosciuto a Ischia l’anno prima). Buoni anche gli ascolti della quarta e ultima puntata, Rondini d’inverno (3.596.000 spettatori per il 20,9% di share).
E come di consueto ottima la prova attoriale: in Serenata senza nome Gennaro Di Biase, nei panni di Michelangelo Taliercio, cognato di Irace e socio di minoranza nell’azienda di famiglia che un tempo era sua, regala al personaggio una parlantina esagerata, stonata, nervosa, che ne accentua il carattere diffidente; e, sempre per i ruoli minori, divertenti gli approcci del verduraio Tanino (Domenico Pinelli) con la scontrosa governante di casa Ricciardi (Veronica D’Elia), il cui gelo cilentano in Rondini d’inverno comincerà suo malgrado a mostrare qualche crepa...
Ormai collaudate poi le interpretazioni di Milo, Sacchi, Iansiti, Pirrello, Falivene, Ianniello, Palvetti, e in crescendo il personaggio della contessa Bianca/Fiorenza D’Antonio: molto ben condotta la sempre più complice amicizia che finirà per legarla a Ricciardi, conscio del proprio debito di gratitudine (nel precedente Anime di vetro, la donna ha scagionato il commissario da un’accusa di omosessualità presentandosi come sua amante) e via via più a suo agio nelle serate mondane cui l’altra lo convince a partecipare per avvalorare le voci sulla loro relazione: serate a cui, fatalmente, partecipa anche Livia (che, immancabilmente invitata a esibirsi, canta con la voce di Minni Diodati).
E davvero ottima l’interpretazione di Lino Guanciale, forse la migliore di questa seconda stagione. Magistrale, come già accennato, il suo volto incredulo di fronte all’insperato voltafaccia di Enrica la sera del compleanno, di fronte ai genitori e a Manfred e alla torta, tutto ben disposto e in attesa dell’ovvia, trionfale conclusione: la proposta di matrimonio, alla non più giovane e poco appariscente maestra di scuola, da parte dell’indiscutibilmente ottimo partito Manfred, addetto culturale presso il consolato di Germania. E lei che all’improvviso rifiuta, e corre in cucina, e poi sul balcone, sotto la pioggia che cade di minuto in minuto più fitta; e Ricciardi pure lui esposto alle intemperie, che risponde al trionfale sorriso e alla braccia spalancate della ragazza col proprio sorriso, via via più largo, felice e libero.
Una svolta che, pur con qualche battuta d’arresto - dovuta ai ripensamenti del commissario, ancora molto in dubbio se coinvolgere l’amata Enrica nel proprio destino d’interlocutore di fantasmi -, nel drammatico finale di Rondini d’inverno finirà col consegnare l’agognata richiesta di poter frequentare sua figlia a un emozionato papà Colombo, accorso con la ragazza al capezzale di Ricciardi, ridotto in fin di vita da un colpo di pistola.
Mentre Manfred - invitato di nuovo a cena dalla madre di Enrica la stessa sera del ferimento del commissario, in un vano quanto testardo tentativo di ripescaggio - fa appena in tempo a incrociare la ragazza sulla soglia (“Perdonatemi” la frettolosa battuta di congedo di lei) e, infine sconfitto, si dà alla bottiglia e alla braccia - falsamente - compiacenti di Livia, costretta a una parte ingrata da un disegno più grande di lei (la donna, su pressante richiesta dell’agente segreto Falco/Marco Palvetti, ha avviato una frequentazione coatta con l’ufficiale tedesco, sospettato di spionaggio dal regime).
Molto ben definita anche stavolta l’ambientazione, frutto dell’impegno congiunto delle scenografie di Gianni Coletti e dell’arredamento a cura di Bianca Pezzati, e perfetto il lavoro degli sceneggiatori (se ne parla poco, di solito, ma mettere in scena la complessità e la profondità di un romanzo è un lavoro, appunto, assai complesso, e qui ci sembra sia stato svolto al meglio). Sarebbe bello vedere una terza stagione.
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