Il commissario Ricciardi: La condanna del sangue (dal web)

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La condanna del sangue

| Paola Rocco

Trasmessa lunedì scorso da Raiuno, La condanna del sangue è la seconda avventura per Luigi Alfredo Ricciardi, commissario della Regia Questura nella Napoli del ventennio fascista. Buono il successo di pubblico anche per quest'episodio, che ha sfiorato i sei milioni di spettatori (per la precisione 5.685.000, in leggero aumento rispetto all'esordio del 25 gennaio).

Sceneggiato come gli altri sei della serie Rai a partire dai romanzi di Maurizio de Giovanni (nelle prossime settimane andranno in onda Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Vipera e In fondo al tuo cuore), La condanna del sangue vede in apertura di sipario l'assassinio di Carmela Calise (Maria Basile), una vecchia cartomante del rione Sanità. 

Trovata cadavere in un lago di sangue nell'angusta stanzetta dove leggeva i Tarocchi, la donna sbarcava il lunario anche prestando soldi a strozzo: in un angolo, il quaderno di scuola con annotati i nomi dei debitori. 

Da tempo una leggenda per l'estrema accuratezza delle sue previsioni, messe a punto con l'aiuto di una fitta rete d'informatori coordinata dall'amica Nunzia Petrone (la portinaia del palazzo, interpretata da Daria D'Antonio), la Calise era al centro d'una vera e propria ragnatela. 

Un pubblico vasto e quanto mai eterogeneo, il suo: nelle maglie della cartomante o dell'usuraia, tra gli altri, anche una gentildonna fedifraga, Emma Serra d'Arpaja (una convincente Raffaella Anzalone), un pizzaiolo gravato dai debiti e un affabile sessantenne, da quasi mezzo secolo in educata attesa della morte della madre. 

Oltre a una ragazza un po' scontrosa di nome Enrica Colombo (Maria Vera Ratti), convocata dal brigadiere Maione assieme agli altri clienti della Calise e così protagonista in quest'episodio d'un memorabile primo incontro con l'impietrito Ricciardi. 

Paralizzata dalla vergogna all'idea che il commissario possa intuire d'essere lui il motivo della sua visita alla cartomante, infatti, una volta in questura Enrica cercherà scampo al travolgente imbarazzo chiudendosi nel silenzio e pietrificando ulteriormente il boccheggiante commissario (Lino Guanciale, sempre efficace in un ruolo complesso). Che fino a questo momento s'è accontentato di contemplarla ogni sera dalla finestra, senza saperne neppure il nome. Gravato dall'irrevocabile condanna al Fatto, come lui lo chiama, cioè la capacità di scorgere l'ultimo palpito di vita dei defunti e d'ascoltarne l'ultimo pensiero (corredo genetico affibbiatogli dalla madre), Ricciardi ha infatti irrevocabilmente deciso di non sposarsi mai.

Tutti passati per la vecchia casa del rione Sanità il giorno prima dell'omicidio, i quattro clienti della Calise saranno ospitati a turno nell'ufficio del commissario per gli interrogatori di rito. Tutti tranne la Serra, puntualmente sottratta dall'ansioso vicequestore Garzo all'onta della convocazione in questura e raggiunta quindi a casa sua da Ricciardi e Maione, per l'occasione provvisti della fiammante Balilla in dotazione alla squadra. 

Coordinata per tutto il colloquio dalla vigile supervisione del consorte avvocato (Valerio Santoro), la signora non riuscirà comunque a celare la propria infelicità coniugale. Confermata, oltre che dall'ossessiva frequenza delle visite alla cartomante, anche dalla camerierina di casa, testimone della tensione tra marito e moglie e dei rientri all'alba della signora. E custode, all'insaputa dell'interessato, d'un paio di scarpe dell'avvocato macchiate di sangue...

Coinvolta da mesi in una relazione col giovane Attilio Romor (Roberto Caccioppoli), astro nascente del teatro di varietà, Emma Serra d'Arpaja ha tra l'altro di recente scoperto d'aspettare un figlio da lui.

A complicare ulteriormente un quadro già molto mosso, il drammatico infortunio incorso a Filomena Russo, la donna più bella di Napoli interpretata da una sensuale Irene Maiorino (perfetta nel suo abitino nero, nello scialle leggero buttato sulle spalle). Puttana vergine nell'icastica definizione di Bambinella, l'informatissimo femminiello interpellato in proposito da Maione, Filomena - rimasta vedova giovanissima con un figlio ancora bambino - sconta con una maldicenza tanto feroce quanto ingiustificata il peccato originale di un'avvenenza fuori dal comune, che dopo la morte del marito l'ha consegnata all'assedio dei maschi che la circondano. 

Soccorsa da un allibito brigadiere nel misero basso in cui vive, la donna è stata orribilmente sfregiata. In realtà in modo decisamente più feroce e definitivo nel libro rispetto alla sfumatissima versione tv, in cui l'attrice appare sì con una ferita trasversa in faccia ma pur sempre molto attraente (anche grazie allo charme ritroso scelto dall'attrice come cifra interpretativa, in decisa rimodulazione rispetto alla dolente tenerezza del personaggio originale). 

E Maione, da tempo lontano dalla tenerezza della moglie Lucia, chiusa nel suo dolore per la morte del primogenito Luca, pur nelle proprie vesti d'integerrimo tutore dell'ordine non potrà fare a meno d'esserne attratto...  Momentaneo cedimento ben presto ricondotto nell'alveo dell'amor coniugale dalla resurrezione primaverile della stessa Lucia (ancora una volta una notevole Fabrizia Sacchi), persuasa infine a tornare alla vita dal timore di perdere l'uomo amato (quel profumo di pasta alla genovese che si spande per casa...). 

Decisivo poi nel finale il personaggio di Antonietta Petrone, la figlia della portinaia interpretata da Greta Esposito. Raggomitolata come ogni mattina in un angolo di quella stanza tappezzata d'immagini sacre e vecchie fotografie, Antonietta - che non parla in modo intellegibile e sembra persa nel suo mondo - ha assistito all'omicidio della Calise pur non potendo essere considerata una vera testimone. 

Tuttavia, oltre a fornire una sorta di giustificazione alla complicità della madre con la donna uccisa - complicità ovviamente pagata in denaro dalla cartomante, denaro indispensabile alla Petrone per garantire un futuro protetto alla figlia non autosufficiente - la ragazzina sarà a suo modo risolutiva per l'individuazione del colpevole: confermando nel drammatico finale l'intuizione di Ricciardi.

Riuscita solo parzialmente, questa versione televisiva del romanzo di de Giovanni presenta qualche difformità dall'originale, in più d'un caso non del tutto comprensibile. 

Scompare, ad esempio, il microcosmo del teatro di prosa, sfondo nel romanzo alla clandestina storia d'amore tra la nobildonna malmaritata e il giovane attore (così come ne Il senso del dolore decisamente più sfumata era apparsa l'ambientazione nella sartoria del Teatro San Carlo).

Tra parentesi nel romanzo, pur non citandoli esplicitamente, de Giovanni allude con chiarezza all'attività dei fratelli De Filippo, l'autore e capocomico Eduardo con la prim'attrice Titina e il comprimario Peppino (l'unico chiamato per nome): che sera dopo sera vanno in scena a Napoli con inalterato afflusso di pubblico prima del trionfale debutto nella capitale. Il 1931, anno in cui si svolgono questa e altre storie di Ricciardi, fu infatti un anno estremamente intenso per Eduardo, che scrisse e portò in palcoscenico diversi lavori.

Nella versione tv, ad attirare un folto e danaroso pubblico composto anche da signore dell'alta società non è, forse un po' incongruamente, che uno spettacolo di varietà con tanto di ballerine in mutande e reggipetto (più patinato ma comunque sul genere dello spettacolino messo su da Nando Moriconi nel pidocchietto di periferia in Un americano a Roma, per intenderci). Il cui fascino agli occhi di Emma e delle sue amiche altoborghesi appare difficilmente comprensibile.

E per conseguenza anche la rivalità tra il geniale e spietato capocomico e l'astro nascente Attilio Romor, attor giovane dall'irresistibile magnetismo, scompare senza lasciar traccia, pur rivestendo un ruolo centrale nel romanzo. Dove, incappato suo malgrado nella gelosia del Maestro dopo aver sedotto l'attrice ambita da entrambi, Romor la sconta venendone quotidianamente ridicolizzato sul palcoscenico, con una deformazione ad hoc del personaggio.

Ambizioso, frustrato e da mesi sotto pressione, il giovane punterà tutta la propria ansia di riscatto sulla relazione con la facoltosa Serra d'Arpaja: relazione nata e pilotata dall'abilità manipolatoria della vecchia cartomante. Perdendo la testa davanti all'improvviso voltafaccia di chi ha fino ad allora indirizzato e favorito i suoi sogni e abbandonandosi alla patologica ferocia riscontrata nelle modalità dell'omicidio.

Di fatto ridotto per buona parte del tempo quasi al rango di puro indizio - quella fotografia un po' scolorita ammucchiata tra altre cianfrusaglie nella disordinatissima stanza da letto di un'Emma in preda alle nausee - sul piccolo schermo Romor necessariamente perde consistenza come personaggio. 

Più sfumata anche un'altra circostanza: la capacità di vedere i fantasmi che Antonietta condivide col tormentato Ricciardi, il quale se ne accorge all'istante e nel finale avrà l'idea di sfruttare l'ipersensibilità della ragazzina per inchiodare alle sue responsabilità un atterrito Romor. Scorgendolo in teatro all'entrata in scena, infatti, Antonietta si alzerà in piedi ripetendo a voce altissima l'ultimo pensiero della cartomante, come di consueto registrato anche dal commissario ('O Padreterno nun è mercante ca pava 'o sabbato): cogliendo alla sprovvista l'attore e spingendolo a una rivelatrice, definitiva esplosione di violenza.

Comunque riusciti, ancora una volta, ambientazione, costumi, scenografia: la soffocante stanzetta della Calise, le informi gonnelle di Enrica, gli ariosi cortili dei palazzi nobiliari, le colazioni al Gambrinus, le scalinatelle della città vecchia. E le mani di Ricciardi perennemente affondate nelle tasche del soprabito: Ricciardi che ha imparato a dissimulare così la propria emozione all'imbattersi nel Fatto, come spiega lo stesso autore. 

E poi quelle impronte psichiche che non sono fantasmi o spiriti nel senso comune del termine, ma rappresentano piuttosto una sorta d'impressione lasciata sulla lastra del mondo prima d'abbandonarlo per sempre: materiate, per così dire, dell'ultima intensa emozione, dell'estremo palpito di vita di chi è all'improvviso costretto a lasciarla, ripetono al solo Ricciardi le proprie enigmatiche filastrocche...

 

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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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