la madrina Simona Molinari conferisce a Francesca Incudine il Premio Bianca D’Aponte 2018. Ringraziamo l’ufficio stampa del Premio D’Aponte per la foto di Giorgio Bulgarelli.

Idee

Per esagerare

| Elisabetta Malantrucco

“Adesso non esageriamo!”.

È questa la frase più consueta che sentiamo ripetere quando si parla non tanto e non solo di diritti delle donne, quanto di usi, costumi, linguaggio, abitudini...

A dire, proclamare, sussurrare questa frase sono in tanti e non sono di certo solo uomini. Sono molte le donne che (per orgoglio? per sottovalutazione?) dicono: “Adesso non esageriamo, altrimenti otteniamo l’effetto contrario”. E le quote rosa no, le parole al femminile no, e il catcalling che sarà mai (si tratta di molestie sessuali prevalentemente verbali che avvengono su strada: così secondo l’Accademia della Crusca). 

Potremmo continuare con gli esempi. Lo scopo di questo articolo non è certo contraddire nessuna voce, ma provare a mettere insieme fatti, valutandoli attraverso una lente necessariamente non oggettiva: quella di chi scrive. Cioè di una donna di media cultura, vissuta in una grande città e che nella vita si occupa di comunicazione. E che porta con sé il suo bagaglio di giudizi, pregiudizi, esperienze e convinzioni. La visione personale delle cose è sempre parte fondamentale di qualsiasi discorso anche quando basato su fonti certe. Ma in certi casi è importante metterlo in chiaro e ribadirlo. E quello della condizione femminile in Italia è un argomento molto delicato e sempre attuale. La particolare attenzione che al mondo della musica d’autrice verrà data in questo scritto e lo spazio che verrà sottratto al mainstream per favorire l’ambito della qualità e della ricerca dipendono dagli interessi e dalle conoscenze professionali dell’autrice. Che tutta la vita ha sentito ripetere quell’adesso non esageriamo e vorrebbe contribuire invece alla battaglia dell’esagerazione, perché esagerare è condizione necessaria per vincere la guerra dell’eguaglianza. 

E sarebbe facile capirlo se tutti noi ci soffermassimo a pensare alla realtà per quella che è, ponendoci al di fuori e guardandola dall’alto, come se un vecchio saggio su un’altura potesse “vedere” il tempo come fosse spazio, che è poi il gioco preferito degli storici. Se lo facessimo, vedremmo come la condizione femminile sia migliorata nella seconda metà del secolo scorso e non ovunque allo stesso ritmo. SI tratta di conquiste avvenute in un tempo ridicolo a fronte di millenni di soggezione, umiliazioni e tradizioni culturali tutte al maschile e dove i contributi femminili sono stati taciuti, sotterrati, minimizzati, ignorati e visti come una minaccia. 

E se il nostro saggio sull’altura oltre che guardare il tempo desse un’occhiata anche allo spazio, scoprirebbe che questo miglioramento riguarda una piccolissima parte del pianeta, il cosiddetto mondo occidentale e anche qui con incerti risultati. Affinché questi risultati non siano più incerti ma invece duraturi e si trasformino in normali usi e costumi - come tenere una forchetta e lavarsi prima di uscire di casa - senza neanche dover più scomodare i grandi temi della parità perché ormai fondamento del patto sociale, ci vogliono tempo, pazienza e moltissime esagerazioni. 

Cerchiamo di vedere brevemente la situazione italiana. Quando abbiamo cominciato a trovare naturale che una donna guidasse un autobus o un taxi? Probabilmente quando è stato favorito il suo accesso a tutte le professioni. E se le donne italiane hanno effettivamente votato per la prima volta nel 1945, non è bastato l’art. 3 della Costituzione per aprire loro le porte della libera professione e dei pubblici uffici. C’è voluta una pronuncia della Corte Costituzionale e infine una legge del 1963 affinché una cittadina potesse diventare Magistrata. 

Ma non basta una legge e una imposizione affinché una società accetti un cambiamento. È necessario vederlo, viverlo, all’inizio subirlo, prima che sia considerato normale. A volte non basta una generazione perché avvenga. In Italia, come donne, siamo arrivati solo di recente alla Seconda Carica dello Stato. Negli Stati Uniti sono messi solo leggermente meglio, se è vero, come è vero, che è stato più facile per un afroamericano diventare Presidente (e meno male) che una donna. Una donna dalla carriera politica e dalle capacità straordinarie, alla quale è stato preferito un miliardario coi capelli tinti di arancione che ha recentemente incitato la folla a occupare il Congresso. Per non parlare della recente scortesia diplomatica di Erdogan verso Ursula von der Leyen: una vicenda tutt’altro che casuale e formale; solo chi ignora il linguaggio delle regole diplomatiche può pensarlo. 

Ma per tornare a casa nostra, le donne che fanno politica non vengono mai viste per la funzione che devono svolgere: esse saranno brutte, belle, di ferro, con le palle, con lo scudo, odiose, troppo mascoline, troppo assetate di potere... se vediamo il trattamento riservato alle politiche italiane, siamo a dei livelli bassissimi. Senza scomodare le parole di Sgarbi portato via a forza in Parlamento, restano alla memoria gli sgarbi rivolti da Berlusconi a Rosy Bindi. Laura Boldrini è stata massacrata durante il periodo della sua carica istituzionale. Qualcuno su un articolo ha avuto da dire sulle vicende intime di Nilde Iotti. E poi Maria Elena Boschi troppo bella, Teresa Bellanova troppo in carne e poi quel vestito troppo appariscente, suvvia! Recentemente sono state rivolte parole orribili contro Giorgia Meloni e una nota giornalista, di solito molto avanti nel sostenere la battaglia delle “esagerazioni”, ha ironizzato sul suo ombretto, con grande sconcerto di chi scrive. 

Da queste che sono solo note di colore, capiamo che il problema non è solo di diritti, ma proprio di uso, di costume, di mentalità, di concezione, di senso dei ruoli. E questo si può cambiare solo se tutto ciò che appare anomalo diventa l’assoluta normalità. L’errore è proprio considerare esagerazioni le battaglie contro le molestie sul lavoro (cosa sarà mai un ammiccamento a una collega?), i piccoli e grandi abusi di potere, i consueti apprezzamenti sull’aspetto fisico mentre si lavora e anche l’abitudine di tante donne di considerare questi apprezzamenti, fatti nel luogo sbagliato, come un elemento importante per l’amor proprio. 

Nulla di tutto questo è “naturale” o congenito e non ha a che vedere con la femminilità: è un fatto culturale e sociale. Lo diceva tanti anni fa Simone de Beauvoir nel suo “manuale” indispensabile ad ogni donna, Il secondo sesso, eppure siamo ancora qua a spiegarlo e a considerare certi fatti esagerazioni che mettono in secondo piano cose molto più gravi, come i femminicidi o il reddito inferiore o gli avanzamenti di carriera o i licenziamenti. A dicembre su 101 mila posti di lavoro persi in questo anno terribile, 99 mila erano occupati da donne; questa sconvolgente verità è la vera esagerazione. Inaccettabile. 

Ma deve essere compreso come tutti gli aspetti siano correlati, perché fanno parte del modo di pensare che portiamo dentro a vari livelli di consapevolezza e che fanno sembrare alla fine normale – o meno grave – che una donna perda il lavoro perché comunque ha i figli, e perché comunque l’uomo è un padre di famiglia, perché tra i due alla fine sarà la donna a dire: “Vabbè casomai resto in casa io”. E perché viene considerato scontato che sia una donna a occuparsi della casa e dell’accudimento delle persone care. 

Esiste un illuminante libro illustrato della francese blogger e fumettista Emma, che si intitola “Bastava chiedere. 10 storie di femminismo quotidiano” che parte proprio da qui: dal come quella che dovrebbe essere una normale divisione dei compiti per la gestione di un ménage familiare si trasformi in un “aiuto” da parte dell’uomo. Il ruolo quindi viene dato per tradizione, mentalità – sia maschile che femminile – alla donna. Dovrebbe essere evidente perché è così necessario esagerare: se infatti si ritiene normale che il ruolo della gestione della casa sia di una donna, ad esempio, di conseguenza sarà più importante che sia l’uomo a guadagnare o a guadagnare di più, che sia l’uomo a fare carriera, che sia l’uomo a non rinunciare, che appaia più accettabile licenziare una donna di un uomo. Per non parlare di quelli che considerano la maternità come un privilegio delle colleghe dentro un ufficio. 

Massimo Recalcati in un recente post su Facebook, senza tante spiegazioni, ha affermato che il “femminismo ideologico” è il riflesso speculare del peggior maschilismo. Sollecitato anche in maniera ruvida a definire “femminismo ideologico” non è stato – almeno secondo l’opinione di chi scrive - in grado di teorizzare questa ideologia. Temiamo che faccia riferimento a queste nostre esagerazioni, su cui potremmo continuare a interrogarci, ma in questo articolo ci interessa mostrare come anche in ambienti apparentemente lontani anni luce da queste resistenze borghesi del pensiero, come è quello artistico, questo tipo di mentalità e queste difficoltà vivano grandemente e come però per fortuna ci siano persone prontissime a esagerare come piace a noi. È il caso dell’ambiente musicale in modo anche talvolta insospettabile. Chi scrive si occupa di musica a vari livelli e quindi conosce molti musicisti, cantanti e cantautori. In più di un’occasione alcuni di loro mi hanno confessato che lavorare con le donne è più difficile e che – soprattutto – alcune non sono adatte a suonare determinati strumenti. Per non parlare di Francesco Renga che a Sanremo ha pensato bene di dire che forse ci sono meno donne in gara perché le voci femminili non sono all’altezza di quelle maschili (poi però ha ritrattato). Robe da gridare e chiedere aiuto!

Un altro stereotipo – in parte ora superato – era quello della donna che deve avere una grande voce; le donne sembravano condannate a dover avere la voce perfetta – mentre all’uomo era consentito stonare – e magari a dover fare anche qualche birignao nasale o qualche inutile gorgheggio. Oltre che a dover cantare solo di amore. Stiamo parlando di cantautrici, anche se poi in molti pensano alle donne sostanzialmente e soprattutto come interpreti. Recentemente un musicista anche molto bravo ha scritto questa frase: “Nei dibattiti social noto che le donne fanno fatica a rispondere alla domanda che loro pensano tu gli stia facendo. Interpretano. È per questo che in musica la maggior parte sono grandi interpreti?”. Al di là dell’attacco acuto di misoginia implicito in questo commento, in effetti, mentre una volta esistevano i grandi interpreti e le grandi interpreti, l’avvento dei cantautori (quasi tutti maschi, tranne qualche autorevole eccezione, come Maria Monti) ha lasciato solo alle donne l’affaire interpretazione. E molti ignorano che esistono invece tantissime cantautrici. Lo ignorano anche perché purtroppo la canzone d’autore ha perso molto spazio e a parte i grandi soliti nomi, è stata relegata in una nicchia, che però è abitatissima e rigogliosa, sia da uomini che da donne. Ma come al solito se sei donna fai ancora più fatica. Ad ogni modo sono tante le iniziative che nel tempo hanno tentato di portare avanti in maniera autorevole la voce delle donne nella cosiddetta musica leggera (ma non leggerissima). Andiamo con ordine. 

Nel 1988 il Club Tenco si trovò in gravi difficoltà economiche e il patron Amilcare Rambaldi comunicò la sospensione della Rassegna della Canzone d’autore di Sanremo. Spiega Enrico de Angelis, braccio destro di Amilcare e dopo la sua morte direttore artistico del Premio per venti anni: “Alcune città si offrirono di ospitare la Rassegna al posto di Sanremo. Tra queste Verona, la città in cui vivo: l’Assessorato alla cultura mi contattò per manifestarmi in questo senso la disponibilità del Comune, all’interno della prestigiosa ‘Estate Teatrale’, la stagione organizzata direttamente dal Comune nel magnifico Teatro Romano di Verona (...). Nel frattempo, le prospettive economiche per il ‘Tenco’ da fare a Sanremo migliorarono (...) e Rambaldi si decise a confermare la Rassegna anche per quell’anno. (...) L’Assessorato veronese mi confermò comunque il proprio interesse a finanziare una manifestazione analoga (...). Ebbi allora l’idea di destinare la manifestazione a un tema monografico, quello delle voci femminili, intese sia come cantautrici che come sole interpreti. La visuale femminile nella canzone di qualità mi sembrava con evidenza un aspetto interessantissimo e fino ad allora poco o niente esplorato. Intitolai il festival La Canzone d’autrice (...). La rassegna, che ovviamente si presentava col nome del Club Tenco, (...) si svolse per cinque anni a fine agosto in chiusura dell’Estate Teatrale (...)”. Ecco alcuni nomi: Nada, Maria Carta, Teresa de Sio, Fiorella Mannoia, Rossana Casale, Mia Martini, Giovanna Marini, Ornella Vanoni, Paola Turci, Gigliola Cinquetti, Concetta Barra, Amalia Rodrigues, Marianne Faithfull, Mercedes Sosa...  

La rassegna si interruppe per motivi economici e dovettero passare un bel po’ di anni prima di poter ritrovare una iniziativa legata alle donne, che fosse duratura e continuativa. Ma proprio nel ricordo di questa iniziativa di Enrico de Angelis a Verona, Fausto Mesolella, l’indimenticato chitarrista casertano, suggerì di inventarsi un premio per cantautrici all’aversano Gaetano D’Aponte, che voleva portare avanti il sogno di sua figlia Bianca, recentemente scomparsa, poco prima di dare alla luce il suo primo album da cantautrice. Bianca D’Aponte è stata un’artista particolarmente dotata, con una scrittura matura e ispirata, malgrado la sua giovane età. Ecco quindi nascere nel 2004 il Premio Bianca D’Aponte: sono un’isola. Il contest si tiene ogni anno in ottobre, nella città d’Aversa, e vede insieme dieci artiste che si confrontano sulla loro musica di fronte a una doppia giuria di addetti ai lavori e di critici musicali. 

Chi conosce il premio e la sua storia sa che la gara è un pretesto, malgrado i premi siano di grande utilità per le vincitrici. In realtà il D’Aponte è una grande famiglia e la parola che più si sente ripetuta è “amore”. Del Premio è stato Direttore artistico lo stesso Mesolella, sostituito dopo la sua morte egregiamente da Ferruccio Spinetti. Ogni anno le dieci cantautrici hanno una madrina e sono stati grandi nomi della musica italiana: da Brunella Selo a Nada, da Elena Ledda a Tosca, da Rossana Casale a Mariella Nava, da Petra Magoni a Ginevra di Marco, da Fausta Vetere a Irene Grandi. La prossima sarà Arisa

Si noterà che fino ad ora si è parlato solo di uomini che organizzano... ma si sa che anche il loro ruolo, quando si esagera, diventa scomodo: se non fanno allora sono maschilisti, se fanno allora cercano di prendersi la scena. In effetti non ne va bene una!

Ma finalmente arriviamo alle donne. Nel 2010 infatti in Liguria nasce Lilith, un’associazione fondata da un gruppo di artiste e artisti, guidati dalle cantautrici Sabrina Napoleone, Cristina Nico e Valentina Amandolese, che organizza “eventi e iniziative che danno spazio ai nuovi talenti della musica d’autrice di tutt’Italia e non solo”. L’iniziativa di punta è il Lilith-Festival della Musica d’Autrice, che in dieci edizioni è divenuto un appuntamento riconosciuto a livello nazionale e internazionale, con la partecipazione di nomi di rilievo: Suzanne Vega, Lene Lovich, Nada, Cristina Donà, Ginevra Di Marco, Marina Rei, Peaches

Dice Cristina Nico: "La nostra urgenza non era creare una specie di riserva protetta, semmai, al contrario, fare conoscere le artiste che stavano percorrendo strade interessanti in una scena che a nostro parere lasciava troppo spesso fuori dai cartelloni delle rassegne, dei festival le donne, oppure, nel migliore dei casi, le relegava a delle curiose rarità. Come artiste conoscevamo abbastanza bene una serie di pregiudizi, se non delle vere e proprie disparità, nel momento in cui ci si presentava come donne che scrivono e suonano la propria musica. Adesso le cose stanno cambiando, ma certi stereotipi, sottili eppure potenti, sono duri a morire: dalla vocalità, all'aspetto, fino alla scrittura che ci si attende da una donna, che per qualche strano motivo dovrebbe essere più rassicurante, o magari più lirica, intimista di quella di un uomo. Per questo abbiamo sempre cercato, sin dalle prime edizioni, di dare spazio ad artiste che utilizzano stili musicali e scritture differenti, da quelli più legati alla tradizionale canzone d'autore a chi tentava vie più sperimentali. In tal senso l'idea di fondare la nostra etichetta, Lilith Label, che era già da tempo nell'aria, ci sembra la logica conseguenza ed evoluzione di questo percorso. (...) Come produttrici continueremo a rivolgere un'attenzione particolare alla musica d'autrice ma non ci precludiamo l'attenzione a proposte musicali e artistiche di nessun genere. Prima dell'EP di esordio di Serena Diodati, una cantautrice di grande talento, avevamo pubblicato il lavoro de iSolaris, un progetto di musica elettronica. Formato da due uomini, ebbene sì". 

Per continuare ad esagerare però, seguendo un ordine cronologico, dobbiamo tornare al contributo di un uomo. Un uomo che ama esagerare in effetti e quindi in questo discorso ci sta bene. Lui è Michele Monina, scrittore, critico musicale, curatore della compilation Anatomia femminile nel 2011 e direttore artistico del Festivalino di Anatomia femminile: “Non saprei dire esattamente quando ho deciso di interessarmi con così tanta attenzione di cantautorato femminile. Perché nei fatti, prima che questa mia attenzione sfociasse in qualcosa di programmatico, ho a lungo collaborato con Cristina Donà, poi con L'Aura e Malika Ayane, e solo una decina di anni fa, casualmente, è nato il progetto Anatomia Femminile, marchio che da allora accompagna buona parte delle mie iniziative a riguardo. Nello specifico è successo che quando mia figlia grande, oggi 19 anni, ha iniziato la fase della preadolescenza, io, padre scrittore, sono entrato in crisi. Non solo perché la mia bambina stava iniziando a diventare donna, ma perché il mio essere scrittore non mi consentiva comunque di aiutarla in questo momento di passaggio, del tutto incapace come ero di dire parole sensate. Così ho deciso di chiedere a una ventina di cantautrici che conoscevo, di nome o di persona, se avessero voglia di scrivere canzoni su parti del loro corpo che avrebbero fornito a mia figlia una sorta di prontuario su quello che l'essere e diventare donna avrebbe significato per una ragazza nel 2011, cioè nel periodo in cui esplodeva il movimento Se non ora quando, usciva il film Il corpo delle donne e l'oggettificazione della donna aveva il suo punto più basso nell'era berlusconiana. Quella prima antologia, 23 cantautrici, ha fatto sì che cominciassero a piovermi addosso dischi e dischi di cantautrici, colpite, immagino, da un critico che si interessava a chi in genere è ignorato dal sistema musica. Da quel momento non ho più smesso. Con tre antologie, il Festivalino di Anatomia Femminile, giunto al quinto anno, che ha presentato oltre trecentocinquanta artiste, online e fisicamente a Sanremo e al MEI, con l'ideazione con Tosca di Femminile Plurale, col libro Venere Senza Pelliccia e il Tedx che porta lo stesso titolo, oltre che il monologo Cantami Godiva, prossimamente a sua volta un libro. Ora ho una figlia di nove anni che si appresta a diventare preadolescente, il mondo non mi sembra poi così cambiato, credo dovrò improntare un'altra antologia per raccontarle, col linguaggio di oggi e i corpi, cosa l'attende dietro l'angolo”. 

In attesa della nuova antologia, di recente Tosca ha confermato che in giugno ci sarà la seconda edizione di Femminile Plurale presso la scuola di Alta Formazione della Regione Lazio Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini. La prima, del 2019, è stata presentata da Monina e dalla giornalista Rai Cinzia Fiorato. 

Cinzia ha proprio quell’anno realizzato una straordinaria inchiesta TV sulla condizione della donna nella musica italiana, dal titolo Femminile musicale:È stato, forse, uno dei miei speciali più difficili da realizzare, ho incontrato molto timore e molta reticenza a denunciare quello che accade. Paura delle ritorsioni, di perdere serate, contratti. Nel settore della musica la questione più spinosa è certamente la maternità. Non esiste a tutt’oggi una legge che tuteli le musiciste (come le sportive, d’altro canto). Sono molte le donne che rinunciano a diventare madri, o che abbandonano la musica per diventare madri. Poi c’è l’atavica questione dei ricatti e delle molestie sessuali. Me ne hanno parlato tutte le intervistate, ma solo due di loro hanno avuto il coraggio di dirmelo davanti alla telecamera. È drammatico. Le donne nella musica in Italia sono sottovalutate, sottopagate e purtroppo non esistono, se non esiste la loro voce. Se fanno le cantanti e interpretano brani scritti dagli uomini con voce muscolare, allora esistono, se scelgono altre strade attraversano l’inferno. Io ho raccontato la musica italiana tutta, dal pop alla classica, passando per le trapper, le manager, le strumentiste, le compositrici, le autrici di testi, c’è molto cammino da fare. Persino nel jazz, che è la musica dei diritti umani, dell’inclusione, della libertà le strumentiste soliste sono rarissime. D’altra parte, se ci pensi, sono poche anche le giornaliste musicali, non riescono a farsi strada in un mondo di baroni che non mollano la presa. Marinella Venegoni è stata la prima critica musicale di un quotidiano, è diventata una firma importante ma nessun’altra è riuscita ad arrivare al suo livello. Questo dimostra anche un’altra cosa, che negli ultimi anni nella musica abbiamo perso persino quel poco di terreno che avevamo conquistato. Perché oggi non nasce una Caterina Caselli? Guarda quello che accade nei grandi contest, Sanremo, il concertone del primo maggio, persino la targa Tenco, sembra che la presenza delle donne sia sofferta, vissuta come un’imposizione, come un obbligo. Dobbiamo alzare la voce per difendere la presenza femminile, è pazzesco. Invece le musiciste sono tante e bravissime, devono solo avere le stesse opportunità di emergere dei colleghi, devono essere lasciate libere di esprimersi, senza dover pagare per esercitare un diritto.” 

Cinzia ricorda il problema del Primo Maggio. È il 2019 e sul palco di San Giovanni le donne sono davvero in numero esiguo: 4 su 70 performer. Immediata la reazione di alcune artiste, tra cui Diana Tejera e Angela Baraldi, che organizzano un grande evento che si protrae dalle sette di sera fino a notte presso l’Angelo Mai di Roma. Un concerto tutto al femminile, che ha grande riscontro e successo. E che si chiama non a caso: May così tante. Una vera esagerazione!

Non si è esagerato, invece, nell’album “Del femminile sentire” curato dalla compositrice Gabriella Rinaldi.  In questo caso infatti è stata messa insieme la particolare visione dell’arte delle donne in un progetto territoriale. È una compilation intorno al Capua festival: “È il viaggio musicale che lo accompagna, una suggestione che nasce dal desiderio di raccontare, attraverso lo sguardo e le voci delle donne, emozioni e magie che solo alcuni luoghi riescono a suscitare: Capua è proprio uno di questi.” 

Non si pensi comunque che la pandemia abbia fermato le iniziative delle cantautrici italiane; ve ne segnaliamo qualcuna. A marzo del 2020 è nata infatti UNISONA COLLETTIVA. L’artista siciliana Sara Romano ci ha spiegato di che si tratta: “È un collettivo di cantautrici con storie e percorsi differenti ma unite dal comune valore di credere nella musica come ricerca, sperimentazione e veicolo imprescindibile di comunicazione. Si è costituito (...) con l'intento di creare un ponte nell'immobilità che garantisse la circolazione creativa e collaborativa tra le iscritte. Da allora sono stati prodotti tre brani scritti e arrangiati a distanza da più componenti, vinto un bando per uno spettacolo dal nome Cant-Autrici che andrà in scena per il comune di Rho non appena sarà possibile, collaborazioni per le singole carriere tra le artiste, e molto altro ancora è in cantiere.” Oltre alla Romano, vi partecipano Cinzia Gargano, Chiara White, Agnese Valle, Irene Brigitte, Elisa Bonomo, Lil Alice, Manuela Pellegatta, LAF, Eleonora Betti, SUE, Chiara Blue. E ancora sotto la pandemia Sara Romano ci segnala UNICA, una tavola rotonda permanente per fare il punto sulla situazione professionale e confrontarsi sulla discriminazione di genere nel settore. 

Sempre nel 2020 è nata Musica di Seta della cantautrice riminese Chiara Raggi: "È una realtà dedicata alla promozione, valorizzazione e divulgazione della musica d’autrice italiana. Etichetta discografica, web magazine, eventi ed iniziative “collaterali” come la linea di gioielli che abbiamo lanciato per “indossare la nostra filosofia”. È nata in un momento particolare nel mezzo della pandemia, per l’esigenza personale di creare quella casa che non avevo trovato in quasi vent’anni di musica ed è stato per me naturale aprirla a colleghe cantautrici e musiciste. Una casa in cui costruire e progettare a lungo termine, in cui sentirsi accolti, trasparente nei modi e negli intenti. Qualche anno fa ho deciso di “autodefinirmi” #cantautorefemmina e questa scelta porta con sé l’ironia (per me salvifica) di un’aperta denuncia ad un sistema musicale che ci vorrebbe sempre un passo indietro, meno brave e capaci dei colleghi uomini. Ho lottato contro questo e continuo a farlo nelle azioni quotidiane e con Musica di Seta. Sarò felice un giorno di lasciare andare il cantautore femmina ma credo sia ancora lontano quel momento”. 

In attesa, sta per uscire per Musica di Seta un interessante album che raccoglie i brani di 12 cantautrici che raccontano la donna e la sua condizione. Sono Flo, Francesca Incudine, Paola Rossato, Pilar, Sarah Stride, Giulia Pratelli Eleonora Betti, Ilaria Porceddu, Giorgia Bazzanti, Marlò, Katres e Veronica Marchi. Si chiama Benvenute e il ricavato delle vendite sarà devoluto a Il Punto Rosa, un’associazione di volontariato che si occupa di sostenere le donne operate di carcinoma mammario. A curare l’iniziativa la stessa Raggi e il critico musicale Michele Neri.  Una delle voci di questo progetto è la veronese Veronica Marchi, prima vincitrice del Premio D’Aponte nel 2004 e anche lei fondatrice quest’anno dell’etichetta discografica, tutta al femminile, Maieutica

In questo lungo articolo abbiamo parlato soprattutto di cantautrici, ma certi problemi riguardano tutti i settori. Per questo segnaliamo l’iniziativa Contiamoci, di Susanna Stivali, Cecilia Sanchietti e Angelo Olivieri (e molti altri) che ha visto insieme a confronto – come campione statistico – 144 musicisti e 104 musiciste, per fare un gender balance nel mondo del jazz italiano. Ne risulta che le donne sono soprattutto cantanti, raramente sono leader in band non fondate da loro, le formazioni davvero miste sono prevalenti soprattutto con leader femminili, esiste un grande divario nelle partecipazioni a grandi festival nazionali e internazioni tra uomini e donne, ecc. 

Sarebbe auspicabile provare a fare la stessa conta nel mondo delle cantautrici. Intanto, in conclusione, oltre all’ascolto delle compilation segnalate e allo speciale di Cinzia Fiorato, disponibile su Rai Play, vi segnaliamo due volumi interessanti sul tema. Il primo è “Incanto. Viaggio nella canzone d’autrice” (L’erudita) del giornalista Rai Fausto Pellegrini; il secondo è “Le sorelle di Mozart” (Utet) del Direttore d’Orchestra Beatrice Venezi, la contestatissima musicista che ha scelto di declinare al maschile la sua professione, suscitando reazioni anche molto violente. E queste reazioni violente sono le esagerazioni che sarebbe meglio evitare: non tanto per la questione linguistica (che merita un altro articolo), quanto perché la cosa che conta di più, nella battaglia ancora aperta sulla parità di genere, è il rispetto reciproco. Perché il rispetto unisce e l’unità dà forza. 

Per esagerare. 

Se non ora, quando?


In copertina: la madrina Simona Molinari conferisce a Francesca Incudine il Premio Bianca D’Aponte 2018.
Ringraziamo l’ufficio stampa del Premio D’Aponte per la foto di
Giorgio Bulgarelli.
 

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