Assassinio sul Nilo

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Assassinio sul Nilo

| Paola Rocco

“A ha fatto un grave torto a B. B vuol vendicarsi e proferisce minacce”.
“A e B sono entrambi sul Karnak?”.
“Precisamente”.
“E B... è una donna?”.
“Esatto”...
“C'è altro?”.
“Sì. A è sfuggita ieri per un pelo alla morte. Proprio... alla tipica morte accidentale”.
“E l'accidente sarebbe stato architettato da B, secondo lei?”.
“No, questo è il punto. B non ci può aver nulla a che fare”.
“Allora è stato proprio un accidente”. “Può darsi, ma non mi piacciono certi accidenti”. …
“E chi è A? Una persona molto antipatica?”.
“Tutt'altro! Una donna giovane, ricca, bella e piena di fascino”.
“Un vero romanzo!”.

Ecco fatto. Sostituite allo scampato pericolo un compiuto assassinio (lo scampato pericolo lo precede) e in questo dialogo tra Poirot e il colonnello Race avrete, mirabilmente riassunto dalla stessa Christie, l'intreccio del suo Death on the Nile (1937, in italiano Poirot sul Nilo), l'ultimo capolavoro agathiano portato sugli schermi dal regista Kenneth Branagh. In questi giorni in lizza per l'Oscar (per svariati Oscar, in effetti) con Belfast, Branagh era stato artefice d'una prima incursione nel territorio della regina del giallo già nel 2017 col suo Omicidio sull'Orient-Express, sempre col piccolo investigatore belga dai grandi baffi, Hercule Poirot, a reggere le fila.
Incarnato come l'altra volta dallo stesso Branagh, in questo Assassinio sul Nilo Poirot si trova a dover districare una matassa resa ancor più complicata da imprevisti intrecci d'amore e d'interesse, che finiranno col consegnare alla morte ben cinque dei passeggeri del Karnak, il sontuoso battello color latte destinato a condurre in crociera sul Nilo gli eterogenei ospiti di Linnet Ridgeway: fresca sposa di Simon Doyle e garbata anfitriona di quest'avventura tra le meraviglie dell'antico Egitto.

La storia

Come già accennato, la trama è presto detta. Linnet Ridgeway, giovane e bellissima ereditiera dal temperamento forse un po' troppo autoritario, s'innamora di Simon Doyle, squattrinato marcantonio che un'amica d'infanzia, l'ardente Jacqueline de Bellefort (fidanzata con lo stesso Doyle) le ha presentato come possibile candidato al ruolo di amministratore delle sue tenute in Inghilterra.
La Ridgeway ha infatti appena acquistato un'antica magione con terreni feudali annessi, radendo al suolo le casupole malsane che affacciano proprio sopra la nuova piscina e garantendosi l'odio perpetuo di alcuni degli abitanti - altri, invece, si sarebbero detti felicissimi di traslocare nelle casette moderne messe a disposizione dall'ereditiera, autoritaria, sì, ma igienica e benefica. La regina Linnet, insomma, com'è maliziosamente soprannominata dai pochi intimi, s'invaghisce dell'umile servitore e, senza pensarci due volte, lo sposa, abbagliandolo col fascino (congiunto, è lecito supporre) di bellezza e ricchezza e soffiandolo alla povera Jacqueline.
In crociera sul Nilo con una nutrita compagnia di ospiti (nel film di Branagh a invitarli sul Karnak è Linnet, mentre nella Christie a parte qualcuno gli altri si ritrovano sul battello un po' per caso), i novelli sposi si vedono però costretti a fare i conti con l'imprevista presenza della de Bellefort, misteriosamente in grado di prevedere gli spostamenti della coppia e decisa a perseguitarla col semplice ma efficacissimo spettacolo della propria infelicità: “Io sono sempre cordiale, educata... Però avveleno loro tutto, tutto!” afferma la Jacqueline agathiana in un drammatico confronto con Poirot.
Innervosita dalla piega inaspettata presa dagli eventi, la Ridgeway chiede a Poirot cosa si può fare per sottrarsi a questa persecuzione, ricevendo in cambio l'esortazione a tornarsene a casa e chiudere i cancelli ma inducendo l'investigatore a guardarsi intorno con attenzione: scoprendo quasi subito che quasi tutti i passeggeri del Karnak, pur legati a Linnet da antica amicizia, hanno o potrebbero avere motivi di rancore nei suoi confronti ed essere, quindi, responsabili della sua morte...
Già, perché una mattina la giovane donna viene trovata cadavere nel suo letto, uccisa da una pistolettata alla tempia. E per Poirot si apre un caso complicato, visto che Jacqueline de Bellefort, la più ovvia e principale sospettata, ha un alibi di ferro: sedata la sera prima dall'infermiera Bowers con una robusta dose di sonnifero dopo una tempestosa scenata con Doyle - cui ha sparato ferendolo a una gamba - ha trascorso tutta la notte nel sonno, sorvegliata senza sosta dalla stessa infermiera.
Questo l'intreccio - semplificato al massimo, credetemi - di Death on the Nile, giallo appartenente alla cosiddetta trilogia esotica della Christie (Non c'è più scampo, Poirot sul Nilo e La domatrice), da cui già nel '78 John Guillermin aveva tratto un altro Assassinio sul Nilo (Oscar per i migliori costumi ad Anthony Powell; miglior attrice non protagonista ad Angela Lansbury/Salomè Otterbourne e nomination per Peter Ustinov/Hercule Poirot e Maggie Smith/Miss Bowers per il National Board of Review Awards). Dal libro è nato anche l'episodio Poirot sul Nilo (2004) per la serie tv Poirot, con David Suchet nel consueto ruolo dell'investigatore.

Modifiche e personaggi nel film di Branagh

Notevoli e (tanto per chiarire fin d'ora) a parere di chi scrive non troppo riusciti, i cambiamenti apportati da Branagh a storia e personaggi. Partendo dai più innocui, ancora una volta voluttuosamente mediterranea l'ereditiera Linnet Ridgeway (incarnata da una sontuosa Gal Gadot): che, slanciata e biondissima nell'invenzione agathiana, già nel '78 aveva assunto gli occhi scuri e le forme generose della bruna Lois Chiles (mentre il casco di riccioli bruni e la figuretta snella di Jacqueline erano stati rimodulati in favore della chioma rosso fuoco e della pelle lattea di una efebica Mia Farrow).
In Branagh la de Bellefort - interpretata da Emma Mackey, star di Sex Education - resta invece una piccante brunetta, mentre ancora una volta non proprio dotato del fascino travolgente attribuitogli dalla Christie - “... un giovane aitante, dagli occhi di un azzurro profondo, dai capelli scuri e ricciuti, il mento volitivo e il sorriso fanciullesco...” - ci appare lo spiantato Doyle, qui incarnato dal glamour nordico di Armie Hammer (che poco dopo la fine delle riprese è stato coinvolto in uno scandalo sessuale che ne ha determinato la parziale cancellazione dal trailer di lancio del film).
E Branagh è un Poirot talmente rimodulato da non aver quasi più nulla in comune con l'originale: a partire, com'è ovvio, dai baffoni grigiastri, per i quali il regista si concede persino un'origin story nel flashback iniziale del film (rimasto sfregiato dall'esplosione di una granata durante il servizio al fronte, un giovane Poirot viene esortato amorevolmente dalla fidanzata Catherine a nascondere le ferite facendosi crescere appunto i pesanti mustacchi scelti dal regista per il personaggio).
Assenti in quest'edizione poi i personaggi agathiani dell'archeologo Richetti, dell'avvocato Fanthorp e della giovane Cornelia Robson, già scomparsi pure nell'adattamento di Guillermin.

Kenneth Branagh nei panni di Hercule Poirot

Il rapporto tra madri e figli...

Quanto agli altri ospiti del Karnak, uno dei - non frequentissimi - felici ménage madre-figlio della Christie si rovescia qui nel suo contrario: trasformandosi la simpatica e acuta signora Allerton e il suo affettuoso figliolo Tim dell'invenzione agathiana nella patologicamente ansiosa signora Euphemia (Annette Bening) e nel suo irrisolto rampollo Bouc (Tom Bateman, già presente in Assassinio sull'Orient-Express e qui parziale spalla investigativa di Poirot vista la soppressione del colonnello Race, che assolve a questo compito nel romanzo).
Nevroticamente in ansia per il futuro sentimentale del figlio (peraltro non più giovanissimo benché atteggiato in pose fanciullesche: quell'aquilone sospeso sulla piramide...), Euphemia pone il proprio terrore che Bouc possa soffrire per amore alla base dell'ossessiva abitudine al controllo e dell'imperdonabile spionaggio esercitato nei confronti del ragazzo.
Pur molto evidente, quest'angoscia materna appare tuttavia sostanzialmente irrelata né sembra potersi giustificare se non con una generica avversione al matrimonio (in particolare a quello di Bouc con Rosalie Otterbourne, forse, vista probabilmente come l'ennesima cacciatrice di dote: al culmine di un litigio, Euphemia minaccia infatti di diseredare il figlio, consueto espediente per verificare il reale coinvolgimento affettivo di presunti profittatori). Un'avversione al vincolo coniugale che potrebbe senz'altro originare da qualche doloroso pregresso - ma il tutto, è bene ripeterlo, è in pratica lasciato all'immaginazione.
Pesantemente rivista da Branagh e da Michael Green, autore della sceneggiatura, e peraltro del tutto assente nel film di Guillermin (a testimonianza dello scarso appeal narrativo delle personalità equilibrate...), questa coppia madre-figlio a guardar bene già nella Christie mostrava però qualche grinza: la deliziosa signora Allerton essendo appunto corredata e accompagnata da un figliolo tutto sommato alquanto chiaroscurale - ancorché simpatico e affettuoso - come Tim, nell'originale agathiano al centro di un'associazione a delinquere in collaborazione con la cugina Joanna Southwood, detestata dalla Allerton e anch'essa vecchia amica di Linnet.
Tra parentesi, nel distopico e dispotico rapporto che unisce Euphemia a Bouc nel film di Branagh sembrano rivivere piuttosto le non poche matriarche autoritarie dei romanzi della Christie: come la Laura Upward di Fermate il boia, ad esempio, la cui distorta, oppressiva genitorialità nei confronti del figlio Robin celava non a caso la chiave del mistero.

Annette Bening (Euphemia) e Tom Bateman (Bouc) 

…e quello tra zie e nipoti

Si è accennato a Rosalie Otterbourne, l'innamorata del giovane Bouc qui incarnata in modo non troppo incisivo da Letitia Wright. In Branagh, Rosalie è non più la figlia ombrosa e ipersensibile ma la nipote volitiva e raziocinante di Salomè Otterbourne, la scrittrice di romanzi audaci col vizio dell'alcol che qui si tramuta in una sensuale cantante blues (Sophie Okonedo; nel '78 gigionescamente interpretata da Angela Lansbury, con un'indimenticabile Olivia Hussey nei panni di Rosalie). Nel film, Salomè sembrerebbe nutrire un vecchio rancore nei confronti di Linnet perché la nipote, bimba dalla pelle scura, da ragazzina è stata mandata via dalla piscina dove stava giocando dietro zelante segnalazione della piccola Ridgeway (che poi le è comunque diventata amica).
Fascinosa, disinibita e corredata da una voce carica di promesse (oltre che, come già accennato, da un notevole potenziale seduttivo capace di ridurre all'afasia persino Poirot), questa Salomè non ha ovviamente nulla dello spessore patetico della scrittrice alcolizzata ansiosamente sorvegliata dalla giovane Rosalie: morbosamente sensibile al più o meno velato disprezzo altrui e decisa a proteggere la mamma anche da sé stessa, in un ancora una volta distopico rapporto madre-figlia (tanto nel giallo agathiano quanto nella trasposizione di Guillermin).
E per conseguenza la Salomè di Branagh sembra spogliare di ogni connotazione devozionale, di qualsiasi impulso altruistico la relazione con la nipote, che ne segue la parte commerciale del lavoro e - anche in questo caso, ci sembra, in modo abbastanza irrelato... - imbastisce una relazione con Bouc: inducendo l'eterno ragazzo, forse per la prima volta in vita sua, a guardarsi ansiosamente intorno per trovare il modo di assicurarsi un'indipendenza economica (sposando d'istinto la soluzione peggiore, in perfetto accordo, questo sì, con la propria personalità immatura e irrisolta).
Il tema dell'indipendenza economica è comunque presente anche nel Tim Allerton della Christie: che, minato nel fisico da una malattia contratta da bambino, come già accennato si lega in criminale sodalizio alla cugina Joanna forse per l'impossibilità di trovare un vero lavoro.

La coppia omosessuale

In Branagh poi la ricca signora Marie Van Schuyler (interpretata da Jennifer Saunders, che qui diventa una parente di Linnet, una specie di zia marxista e criticona come il giovane Ferguson del libro) e la sua infermiera e dama di compagnia, la Bowers (Dawn French), hanno una relazione. Assente nell'originale agathiano, questa possibilità è però velatamente accennata già nel film di Guillermin: con le velenose allusioni della Van Schuyler - una serpentina Bette Davis, che qui sembra divertirsi a recitare sé stessa - nei confronti della propria segaligna dama di compagnia, la splendidamente legnosa Maggie Smith (“La mia Bowers non è molto pratica di questioni matrimoniali...”).
E del resto la stessa Bowers, sempre in Guillermin, durante un litigio con la Van Schuyler minaccia d'andarsene sottolineando quanto facilmente, nell'eventualità, le riuscirebbe di trovare un'altra riccona pronta a pagare qualsiasi cifra per essere solleticata là dove non batte il sole.
In Branagh le due sono invece unite da una vera e propria, per quanto non esibita, relazione sentimentale cui il ruolo di segretaria/infermiera/tuttofare della Bowers funge da discreto paravento (siamo pur sempre alla fine degli anni Trenta...). Mentre depotenziato appare il movente omicidiario dell'infermiera, che nel libro come nel film del '78 aveva visto l'amato padre annientato dalle spregiudicate manovre finanziarie del padre della Ridgeway e di conseguenza detestava la giovane ereditiera.

I comprimari

In Branagh il bel dottor Windlesham interpretato da Russell Brand è un ex spasimante di Linnet (come il Lord Windlesham del libro, il fidanzato respinto). Ex spasimante ancor dolorante per la delusione subita e per di più costretto ora ad assistere alla fulgida luna di miele dei due dall'imperdonabile tendenza all'ospitalità della Ridgeway, che l'ha invitato a cuor leggero sul Karnak assieme al proprio lontano cugino Andrew (Ali Fazal): amministratore dalla gestione avventurosa che a sua volta potrebbe aver voluto morta Linnet prima che quest'ultima, nei film come nel libro abilissima donna d'affari, scoprisse le irregolarità nella gestione del patrimonio e procedesse all'inevitabile castigo per delitto di lesa maestà.
E al seguito della regina Linnet c'è poi Louise Bourget, la cameriera un po' vessata interpretata da Rose Leslie (Jane Birkin nel film di Guillermin), cui la Ridgeway ha impedito di mutar vita infrangendo il suo sogno d'amore col pretendente indebitato: messo di fronte per prova all'offerta di Linnet - lascia Louise e ti saldo i debiti - l'uomo s'è dileguato senza esitazioni, confermando la lungimiranza dell'ereditiera ma consegnando Louise a un eterno rancore.

Le matriarche

Per quanto necessariamente ancora senza figli, la Ridgeway s'inserisce quindi senza sforzo nella ricca schiera di matriarche dominanti della Christie: come la Rachel Argyle di Ordeal by Innocence, pure lei saldamente al comando d'una piccola tribù di figlie e figli adottivi (tutti raccolti ben oltre il dovuto sotto le sue ali protettrici e ansiosamente intenti a cercar di liberarsene). Condividendo con queste appunto l'inesorabile certezza d'essere nel giusto e la conseguente volontà di dimostrarlo a ogni costo; spesso, anche a costo di mandare in briciole l'autostima altrui e di mettersi di fatto in pericolo (in quanto, nella maggior parte dei casi, hanno ragione, il che le rende ancor più insopportabili...).

Gal Gadot nei panni di Linnet Ridgeway 

Le amiche

Due righe sulla coppia di (ex) amiche, Linnet e Jacqueline. Trascinante il loro incontro sul palcoscenico affollato e fumoso dello Chez ma tante (il nome è già nella Christie), dove la de Bellefort offrirà per la prima volta il suo Simon all'ammirazione dell'amica rubamariti; e seduttivi al limite della provocazione - in accordo, del resto, con le sequenze pesantemente sensuali del ballo iniziale - i vestiti scelti da entrambe. Rosso cupo quello di Jacqueline, azzurro ghiaccio quello di Linnet, sembrerebbero quasi il frutto di un accordo tra le amiche, sicure di dover posare in coppia a beneficio dei fotografi. Intenso anche l'ultimo confronto tra le due, la sera prima della morte della Ridgeway.

Gal Gadot ed Emma Mackey allo “Chez ma tante”

La posta in gioco

E ancora una volta classificabile come un dignitoso ma non proprio travolgente esemplare d'inglese medio lo squattrinato Simon Doyle interpretato da Hammer (Simon MacCorkindale nel film del '78): che tuttavia appunto per la sua intrinseca britannicità potrebbe aver esercitato un fascino irresistibile sulla navigata Linnet. Questo del fascino d'altri tempi della vecchia Inghilterra assorbito ad esempio dagli americani, come una sorta di pozione magica, non appena messo piede sul suolo britannico è un tema più volte accennato dalla Christie: per esempio in Miss Marple al Bertram Hotel, con la chiacchierata tra il direttore dell'hotel e il vecchio maggiore, cui il primo illustra con dovizia di particolari i molti dettagli studiati a tavolino per rendere il posto ricco di colore locale e - per conseguenza - irresistibile agli occhi dei danarosi viaggiatori d'oltre Oceano. E in A Crooked House pure il giovane Charles Hayward, ricordando lo sbocciare del proprio amore per Sophia Leonides (pur “affetta” da un nonno greco) durante il loro soggiorno al Cairo, affermerà “trovavo Sophia così inglese da commuovermi”, confermando quindi la forte componente idealizzata e nostalgica di quest'attrazione.

L'amore

L'amore è comunque al centro di Assassinio sul Nilo. È amor fou, passione totalizzante e distruttiva, l'amore di Jacqueline per il suo Simon. È un colpo di fulmine quello di Linnet per Simon e - all'apparenza - quello di Simon per Linnet. È amore sbagliato, distorto e compromesso quello di Euphemia per il figlio Bouc. È un amore nascosto quello tra la Van Schuyler e la Bowers, negato quello di Windlesham per Linnet, contrastato quello di Bouc e Rosalie. Ed è amore (amicizia) tradito quello di Jacqueline per l'antica compagna di scuola cui si è rivolta piena di fiducia.

Gal Gadot, Emma Mackey e Armie Hammer allo “Chez ma tante”

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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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