C'era una volta in America

Referenze

Che hai fatto in tutti questi anni

| Paola Rocco

Indicazioni. “Facciamo un Sergio Leone” (Quentin Tarantino ai suoi operatori).

Io. “Dico a tutti che si tratta del mio film migliore, probabilmente è così e di sicuro lo penso davvero, ma quello che voglio precisamente dire, con questo, è che C'era una volta in America sono io” (Sergio Leone).

The Hoods. “Tutto nasce da The Hoods di Harry Grey, un piccolo libro scritto da un autore ebreo... Ho capito che quella storia mi permetteva di mettere a nudo certi sentimenti, certe contraddizioni, la tenerezza, il tradimento, la passione, l'amore, il sesso, la violenza. L'infanzia. E poi, determinante, una storia di amicizia virile tra due uomini, un tema dominante in quasi tutti i miei film. Infine, in secondo grado, potevo raccontare la mia passione per il cinema. Grazie all'avvento della televisione e al lavaggio del cervello che fa la tv, di questi film se ne faranno sempre di meno. Volevo lasciare una testimonianza di simpatia per il cinema che ho sempre amato” (Sergio Leone).

Teppistelli. “C'era una volta in America è l'unico film di Sergio Leone che ha alla base un libro... Mano armata è la traduzione italiana di The Hoods, qualcosa come I teppistelli, prima edizione americana nel 1952, poi abbastanza venduto in America in edizione economica, copertina con illustrazione pulp di pistole, donna svenuta (o forse morta?) con reggicalze in vista...”.

Edicole. Il libro per Leone lo scopre Sergio Colizzi, scrittore, produttore e poi regista di western all'italiana virati in commedia (è lui a essersi inventato il duo Bud Spencer-Terence Hill): lo scova a Roma, in edicola, e lo passa a Leone, che lo legge - o glielo legge a voce alta il cognato - e ne rimane ossessionato. “È il 1966, niente sarà più come prima”.

Titoli. Nel 1967, a New York per seguire il doppiaggio americano de Il buono, il brutto e il cattivo e per lavorare a C'era una volta il West, Leone chiede a Sergio Donati di iniziare le ricerche per il nuovo film, che si chiamerà C'era una volta l'America (diventerà C'era una volta in America per distinguerlo da un documentario uscito in quegli stessi anni).

Cervelli. Finzione vuole che The Hoods lo scriva Noodles, gangster di mezza tacca nella New York del proibizionismo. Il nomignolo allude alla sua intelligenza (noodles sta per cervello): se infatti Big Maxie, “compagno di classe ebreo come lui per niente osservante, è il capo indiscusso della gang del Lower East Side, Noodles è l'intellettuale del gruppo, quello che legge i libri e conosce le parole più difficili, perfino sadomasochista, pur essendo un duro come e più degli altri”.

Lame. Il libro rubato da Noodles insieme a un coltello all'inizio di The Hoods: scritto da Horatio Alger, lo scrittore ottocentesco cantore del Sogno americano di ascesa sociale, s'intitola Dagli stracci alla ricchezza. “Dell'ideologia e dello strumento per trasformarla in azione”: Noodles diventa così per tutti la Lama, cervello e coltello insieme.

Domande/1. In Italia Mano armata viene pubblicato da Longanesi, prima nel '58, in edizione rilegata, poi nei pocket (primo marzo '66), tagliuzzato ma ancora piuttosto lungo (350 pagine a 350 lire): è questa l'edizione che legge Leone. Anche stavolta in copertina c'è una donna, viva però, gonna sopra il ginocchio e strillo ammiccante: Chi ha scritto questo libro? Frank Costello, Lucky Luciano o Joe Adonis? 

Imbarazzi/1. “Le donne, come del resto gli uomini e le vicende che vengono raccontate, devono essere viste nel contesto di una determinata epoca, un'epoca lontana quaranta, cinquant'anni dal femminismo di oggi, in cui, tra parentesi, personalmente credo. Con la sua insinuazione, se la posso definire così, lei si pone sulla stessa linea di chi definisce razzista un film in cui i neri di cento anni fa vengono raffigurati come schiavi. Non è un giudizio, è un dato di fatto” (James Woods/Max durante la conferenza stampa di presentazione del film, il 20 maggio 1984, alla 37ª edizione del Festival di Cannes. La risposta di Woods è indirizzata a una giornalista che ha detto d'essersi sentita, durante la visione del film, imbarazzata come donna e scoraggiata come essere umano).

Meriti. “Un film non deve trasmettere necessariamente e in primo luogo un messaggio politico. Il cinema non coincide sempre con la giustizia e questo rappresenta, a mio avviso, uno dei grandi meriti del film di Leone” (James Woods).

Se. “Quella con Elizabeth McGovern, o Deborah, personalmente non credo sia una semplice violenza. È un disperato grido d'amore. Volevo rappresentarla così. Se non è così, ho sbagliato” (Sergio Leone).

Imbarazzi/2. “Mi sento come una bella signora palpata sul tram da qualche vecchio sporcaccione” (S. Leone a proposito del taglio imposto al film dagli americani).

Timori. “Purtroppo l'America, il paese che ti dà la possibilità di fare un film come questo, è anche il paese che per timori commerciali preferisce distruggere quel film, rischiare di annientarlo” (il regista a Lietta Tornabuoni).

Minuti. 229 minuti, ovvero tre ore e 49 minuti, la durata complessiva di Once upon a time in America.

Punti. “Sergio sarebbe andato ancora avanti a girare, forse odiava l'idea di dover a un certo punto finire il film” (Robert De Niro).

Sergio Leone e Robert De Niro sul set

Righelli. Il righello con la scritta IT'S SO HARD TO BE HUMBLE WHEN YOU ARE GREAT AS I AM sulla scrivania di Leone.

Partenze. “Sergio Leone, l'inventore del western all'italiana, è in partenza per New York avendo deciso di tornare a fare il regista con un film di gangster dal titolo C'era una volta l'America” (e. b., la Stampa, 29 aprile 1977).

Ritorni. Le riprese di C'era una volta in America, cominciate il 14 giugno 1982 alle 9.30 al Teatro della Cometa di Roma, una piccola sala teatrale, a due passi dal Campidoglio, chiusa dal 1969 per un incendio. Si gira la scena che apre il film, il duello delle ombre che rappresentano il Bene e il Male; tra gli attori, Olga Karlatos e Mario Brega. Sergio Leone torna a dirigere un set a dodici anni dalle riprese di Giù la testa. In questi dodici anni è successo di tutto e il primo ciak è stato rinviato talmente tante volte “che sembra impossibile vederlo accadere”.

Battute/1. “'Namo dentro, va'” la sola battuta pronunciata dal regista all'ingresso sul set; poi si siede, guarda in macchina e via. “Come se avesse smesso il giorno prima” ricorda Claudio Mancini, produttore esecutivo. “Erano 16 movimenti di macchina, è partito come una spada”. Alle 9 di sera, pizzette e supplì per tutti ma soprattutto per Leone, che alle 22.30, nel teatro delle ombre cinesi, chiude la prima giornata del film.

Battute/2. La battuta che circolava a Roma sul rapporto tra Leone e Mancini: Leone fa un film su Garibaldi e per girare lo sbarco dei Mille chiede a Mancini duemila comparse. Mancini gliene dà cinquecento, ma grasse, che sembrano di più.

Geni. “Detto alla romana, in senso buono, era un gran fijo de 'na mignotta, praticamente un genio. Poi c'erano volte che lo volevi ammazzare. Te voleva sempre dà 'na sòla, forse perché all'inizio l'avevano fregato alla grande, avrà fatto duemila cause. Magari uno andava a fargli i lavori a casa e lui non lo voleva paga'. Però aveva botte di generosità incredibili” (Claudio Mancini).

Storie/1. “Sarà la storia del tempo perduto di un vecchio gangster, probabilmente Paul Newman, vista a ritroso dal 1923 a oggi” (Sergio Leone a la Stampa, 29 aprile 1977).

Trattamenti. Il trattamento, termine tecnico e un po' gergale per indicare il soggetto completo, in pratica il film in forma di racconto. Scritto da Enrico Medioli, sembra un romanzo, è rilegato in pelle marrone e si apre con una citazione di Nietzsche (“Il criminale è un tipo di uomo forte in ambienti sfavorevoli, l'uomo forte alato”). A chiudere, la parola Time, Tempo, in maiuscolo com'è maiuscola l'ultima parola della Recherche, “circostanza di cui Medioli andrà sempre fiero”. La storia va avanti per 227 pagine, quando di solito un trattamento hollywoodiano sta tra le quaranta e le ottanta. “Prima ancora di nascere, C'era una volta in America è fuori misura”.

Storie/2. “È una storia sull'amicizia tradita, dove tutto è inganno” (Enrico Medioli, sceneggiatore).

Gangster. “Noi abbiamo sognato il West, mica i banditi, i mafiosi ebrei. I gangster ebrei chi li conosceva, nessuno li ha mai raccontati. Eravamo abituati a vedere gli italiani con il pancione e i capelli impomatati e gli irlandesi con il collo grosso e la testa rasata” (Claudio Mancini).

Dubbi/1. “Mi sono detto: non sono americano, non sono ebreo, non sono un gangster... come posso essere d'aiuto?” (Enrico Medioli alla notizia della convocazione per Once upon a time in America).

Gatsby. Sul set, lo sceneggiatore Enrico Medioli porta con sé Proust e la Recherche, William Shakespeare e Antonio e Cleopatra, “la tragedia dell'ambiguità, dell'amore e del potere, con un po' di Grande Gatsby sempre in testa. Gli anni sono quelli, in fondo”.

Domande/2. Col suo film, Leone cerca di rispondere “alla prima domanda che si è posto, quando ha finito di leggere il libro: che ha fatto Noodles in tutti questi anni?”.

Battute/3. Sono andato a letto presto, la battuta di Noodles che tutti ricordano, “è mia, ed è un furto, che nessuno riconosce. Da Proust! Longtemps je me suis couché de bonne heure. Sì, quella è mia. Ricordo che quando si parlava della storia, io dicevo: deve essere la ricerca del tempo perduto di un gangster. Alla fine si scopre che è tutto un inganno, tutto è bugiardo, niente è vero. Il nostro personaggio, quello che è andato a letto presto, passa la vita con il senso di colpa per una cosa che non ha fatto” (Enrico Medioli, sceneggiatore).

Libri. Quando torna a casa, l'adolescente Noodles legge un suo libro, Martin Eden, che ha nascosto nel bagno comune. All'inizio nella sceneggiatura si parlava de Il conte di Montecristo: l'accento, non più sulla vendetta, si è spostato sui sogni di grandezza di un ragazzo povero.

Dolci. La charlotte russa, presenza ricorrente nel libro di Grey “come ingenua metafora di ogni tipo di corruzione, dal pagamento con un po' di sesso per Peggy alle mazzette per i politici”, nella sceneggiatura firmata da Benvenuti e De Bernardi si trasforma in una cheesecake alla fragola inghiottita sulle scale - mentre aspetta che l'altra finisca di fare il bagno - dall'impaziente Patsy, “evidentemente più affamato che eccitato da un possibile incontro intimo con la ragazzina”.

Clown. “Essere ebreo non era decisamente necessario per fare C'era una volta in America. Molto più importante, almeno nel mio caso, è stato avere alle spalle un'infanzia sbandata. Ero un ragazzo di strada senza direzione, uno che non andava a scuola e rubacchiava nei negozi, un clown. Credo che questo mi abbia aiutato molto a entrare in relazione con il problematico, solitario, guardingo e violento Noodles” (Scott Schutzman, Tiler nei cartelloni del film, Noodles adolescente in Once upon a time in America).

Mariti. Per Eve, la donna di Noodles, in Italia s'era pensato anche a Romina Power, la bella figlia di Tyrone Power e Linda Christian. “Il provino era stato buono, ma poi lei si era presentata al successivo incontro accompagnata dal marito, il cantante pop Al Bano, e si era bruciata ogni chance”.

Scarafaggi. “Sai una cosa che mi ha fatto veramente soffrire? Non essere invitato alla première di Cannes, quando la mia partner, Jennifer Connelly (Deborah adolescente nel film, ndr) invece c'era. Leone la adorava, io lo facevo incazzare... Come il giovane Noodles, rispetto alla mia Deborah ero anch'io uno scarafaggio” (Scott Schutzman).

Colpe. “Non ho mai pensato a Noodles come vincente o come perdente. Oggi usiamo spesso, troppo spesso, questi termini, e la colpa è di persone come Donald Trump, che parlano sempre di vincenti e perdenti perché di base sono perdenti, e per questo sono così suscettibili quando si parla di sconfitta” (Robert De Niro).

Battute/4. “Nel film c'è una battuta che non siamo riusciti a scrivere. È la risposta alla domanda provocatoria di Max: 'È il tuo modo di vendicarti?'. Noodles dice: 'No, è solo il mio modo di vedere le cose'. Non è male ma non è all'altezza del miglior Leone. Per settimane ne abbiamo cercata una migliore, non è venuta” (lo sceneggiatore Piero De Bernardi a Giulio Reale).

Comparse. Il ciak del novembre 1982 a Williamsburg, Brooklin, nell'Ottava Strada Sud trasformata in Delancey Street: si girano gli esterni degli anni Venti, le uniche scene di massa del film. “Un giorno le comparse sono più di mille, e all'ennesimo ciak, quando tutti pensano di aver finito, Leone fa ripetere ancora perché una di loro avrebbe guardato in macchina”.

Piastrine. La piastrina metallica di tipo militare con su scritto CONGRATULATIONS! YOU'VE SURVIVED ONCE UPON A TIME IN AMERICA regalata da Robert De Niro a tutti quelli che hanno lavorato al film.

The pistol in the grembo. “Aveva una bella voce baritonale, che convinceva gli attori e le attrici a fare quello che voleva lui. Mostrava e spiegava, si faceva capire, anche se il suo inglese era allucinante. A Henry Fonda, che tutti chiamavano Hank, diceva: Hank, when you bev, you spar. You put the pistol in the grembo. In the beginning, diceva sempre, in the beginning...” (Claudio Mancini).

Squilli/1. La scena nella fumeria d'oppio, girata a Cinecittà: De Niro/Noodles è steso a terra, la lunga pipa in bocca. Sollevandosi leggermente, raccoglie il giornale con la notizia della morte dei suoi compagni e in quel momento squilla per la prima di 24 volte il telefono che solo lui sente e che - pur nello stato di torpore indotto dall'oppio - lo fa sobbalzare. “Leone non è tipo da buona la prima, De Niro neppure. Finito il primo ciak, i due confabulano... e trovano subito un accordo: l'attore non ha alcun problema a ripetere la scena anche più di dieci volte, come piace a Leone, ma ogni volta il suono che lo desta dovrà essere diverso, ogni volta lo deve sorprendere”.

Squilli/2. Si ricorre quindi a ogni tipo di attrezzi, dal ciak ai martelli presenti sul set, “la scena è perfetta e un punto fermo è stato fissato. Nessuno vincerà la gara dell'attenzione al dettaglio, anzi, la vinceranno tutti, perché regista e protagonista sono in sintonia perfetta”.

Squilli/3. In una nota a piè di pagina del suo saggio A Hair of the Dog that Bit You, Slavoi Ẑiẑek, filosofo marxista lacaniano hitchcockiano, dà un'interpretazione psicanalitica degli squilli di telefono all'inizio di C'era una volta in America: “Ciò che abbiamo qui è... una sorta di raddoppio riflessivo dello stimolo esterno (un suono, un bisogno organico ecc.) che innesca l'attività onirica. Si integra l'elemento nel sogno per prolungare il sonno, ma il contenuto è talmente traumatico che infine si fugge nella realtà e ci si sveglia. È ciò che Lacan chiama l'insistenza del reale”.

Sorrisi. Quello stesso giorno, Leone gira con l'aiuto di un trabattello, un piccolo ponteggio che si usa per riprendere dall'alto, una brevissima sequenza in cui, sdraiato sul suo giaciglio, De Niro /Noodles sorride, trasformando, “da grande attore qual è, il sorriso in una smorfia enigmatica, eccessiva e malinconica”. Secondo De Niro, quel sorriso “è l'apertura e la chiusura del film. Dice tutto. È un sogno o non è un sogno? È una combinazione di sogno e realtà... could've been, would've been, should've been”.

Cristalli. “Ai miei occhi, Mano armata era una di quelle palle di cristallo per turisti, con dentro una piccola Tour Eiffel, un Colosseo in miniatura o una mini Statua della Libertà. Si rovescia la sfera e, con fiocchi grossi e fitti, si vede cadere la neve. Ecco che cos'era l'America di Noodles. E la mia. Minuscola, favolosa, perduta per sempre” (Sergio Leone).

Argenti. Il vassoio d'argento di Bulgari con sopra una copia di The Hoods, fatto recapitare a Sergio Leone da Alberto Grimaldi, l'ex avvocato napoletano trasformatosi in produttore, per dirgli d'aver ottenuto i diritti del libro.

Cartoline. Le cartoline nell'ufficio del mercante di diamanti: originali degli anni Trenta, le pescò una per una Carlo Simi, architetto e scenografo, nei mercatini dell'usato.

Hotel/1. Il Pink Lady, l'hotel di St Petersburg, in Florida, dove Leone vuol girare da sempre la scena dell'ultima vacanza di Max e Noodles con Eve e Carol. Inaugurato nel 1928, e frequentato da Scott Fitzgerald, Al Capone e Franklin Delano Roosvelt, si chiama in realtà Don Cesar, e riapre nel 1973 dopo esser stato un ospedale militare, un sanatorio e infine “un gigante di 220 stanze abbandonato a se stesso”. La troupe di C'era una volta in America ci arriva il 13 ottobre 1982 e se ne va il 17, ma di fatto i giorni di lavorazione sono solo due, gli altri piove.

Teatri. La scena di Noodles a teatro che assiste all'Antonio e Cleopatra con Deborah come protagonista: il teatro, vero, è l'Impérial di Montréal (il Canada offre vie e palazzi in stile anni Trenta perfettamente conservati a costi nettamente inferiori a quelli americani). La sala è anche un cinema, e in quei giorni ha in cartellone il nuovo Star Trek.

Hotel/2. A Cinecittà, e poi in via delle Messi d'Oro, a Pietralata, tra giugno e settembre 1982 si gira la parte di Once upon a time in America ambientata negli anni Trenta, ma il 5 luglio alle 17.15 si chiude tutto per seguire Italia-Brasile al Mondiale di Spagna. Le riprese si sposteranno poi al Lido di Venezia per la cena a due di Deborah e Noodles (che ha riservato l'intero ristorante) e la chiacchierata in spiaggia che viene dopo. Per la cena viene scelto l'Excelsior, costruito nello stesso stile moresco degli hotel di Long Island dei primi decenni del Novecento. Ancora a Roma, al mattatoio di Testaccio, si gira invece la scena delle minacce al sindacalista irlandese.

Assassini. “Ci sono film assassini, secondo me Sergio è morto di C'era una volta in America. Sei mesi a Cinecittà a 40 gradi, in Canada ce n'erano 30 sotto zero... Anche Visconti si è ammalato fatalmente di Ludwig. Visconti è morto di Ludwig, Leone di C'era una volta in America” (Enrico Medioli).

Momenti/1. “James Woods dice che l'hanno ucciso i problemi che il suo film ha incontrato in America, gli hanno letteralmente spezzato il cuore. Non so, forse è vero, ma è anche vero che lui, come il suo film, arrivava da un altro mondo, dagli Settanta, l'epoca dei grandi registi, di Scorsese, Altman, Coppola, Rafelson, e che C'era una volta in America, almeno da noi, in America, è uscito fuori tempo massimo, nel 1984, quando già regnava Ronald Reagan e Michael Cimino con I cancelli del cielo aveva ucciso il cinema dei grandi autori” (Scott Schutzman).

Storie/3. “C'era una volta in America è un'autobiografia a due livelli. Ci sono la mia vita personale e la mia vita di spettatore di film americani” (Sergio Leone).

Dubbi/2. “Una domenica m'ha telefonato: andiamo a vedere un film? Eravamo a Roma, stavamo finendo C'era una volta in America. Andiamo a vedere quello lì, Rambo. Lo danno al Majestic. Tutte canaglie, tutte canottiere, ho detto io. Ma ci siamo andati lo stesso, i bulli romani già si menavano prima ancora di entrare. L'abbiamo visto, siamo usciti. Lui non era un espansivo, un bacione, un abbraccione, quella volta però mi ha preso sottobraccio e m'ha detto: a Cla', che pensi, piacerà il nostro?” (Claudio Mancini).

Momenti/2. “Dopo il film mi sono sentito perduto e alla deriva esattamente com'ero prima. Tempi difficili. O, sempre per citare Dickens, era il migliore dei nostri momenti, ma anche il peggiore” (Scott Schutzman).

Notizie tratte da: Che hai fatto in tutti questi anni. Sergio Leone e l'avventura di “C'era una volta in America” di Pietro Negri Scaglione

 

Che hai fatto in tutti questi anni.
Sergio Leone e l'avventura di “C'era una volta in America”

 di Pietro Negri Scaglione
Einaudi - 2021

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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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