Ricciardi – Il giorno dei morti

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Il giorno dei morti

| Paola Rocco

Netta vittoria negli ascolti per Il giorno dei morti, quarto appuntamento con le avventure de Il Commissario Ricciardi, la serie targata Raiuno tratta dai romanzi di Maurizio de Giovanni. Andato in onda lunedì scorso, l'episodio ha totalizzato ben 5.636.000 spettatori. In deciso distacco Il Grande Fratello Vip, diretto competitor in onda sull'ammiraglia Mediaset più o meno in contemporanea, che si ferma a 3.483.000.

Stavolta il commissario della Regia Questura di Napoli (Lino Guanciale) e il suo fido luogotenente Maione (Antonio Milo) sono alle prese con la morte d'uno scugnizzo, trovato riverso sugli scalini del Tondo di Capodimonte in una livida mattina di fine ottobre.

Sbrigativamente archiviata dal pavido vicequestore Garzo (interpretato da Mario Pirrello) come una tragica fatalità, la morte del piccolo Matteo Diotallevi, detto Tetté - perché balbettava e non riusciva a dire per intero il suo nome senz'impappinarsi - susciterà invece l'accorata attenzione di Ricciardi: incapace di rendersi ragione dell'assenza del Fatto accanto al piccolo morto e deciso a appurarne i motivi. 

Sopraggiunto sul luogo del ritrovamento assieme a Maione, infatti, il commissario non scorgerà alcun fantasma intento a sussurrare il proprio ultimo pensiero accanto al bambino. A vegliare il minuscolo cadavere solo un cagnolino d'incerta razza, compagno dei non molti giorni tra i vivi trascorsi da Tetté (Leonardo Russo, con la meticcia Zoe). Che, come Ricciardi accerterà presto, apparteneva alla misera comunità di scugnizzi raccolta intorno alla parrocchia di Santa Maria del Soccorso gestita da don Antonio Mansi (un ottimo Peppe Lanzetta, morbido e tagliente a un tempo): riluttante a prestare la propria collaborazione alle indagini e pronto a sollecitare l'intervento della Curia Arcivescovile di Napoli per bloccare sul nascere altre iniziative dell'improvvido Ricciardi.

Puntualmente ostacolato anche dal vicequestore Garzo: siamo nei delicatissimi anni successivi alla storica firma del Concordato tra Chiesa e Stato (1929, le storie del commissario si svolgono nel '31) e l'indagine non autorizzata sulla morte del bambino rischia di far saltare un ancor fragile equilibrio. 

Senza contare i preparativi connessi all'imminente visita a Napoli del Duce in compagnia della primogenita Edda. Poco più che un piacevole diversivo per alcuni, come la bella Livia Lucani vedova Vezzi (di null'altro ansiosa che d'accogliere come si deve l'amica degli anni romani con un adeguato ricevimento nella casa appena acquistata per star vicino all'amato Ricciardi), questi preparativi rappresentano invece un insostenibile stress per il trepidante vicequestore. Innervosito anche dall'improvviso materializzarsi in questura dell'enigmatico Falco, il funzionario della polizia segreta incaricato di vegliare sull'incolumità del capo del fascismo durante la trasferta nel capoluogo campano: un inquietante, efficacissimo Marco Palvetti. Che, perfetto nei suoi completi scuri, nella voce smerigliata e vagamente echeggiante e nei capelli lucenti di brillantina a incorniciare il viso d'un innaturale pallore, un po' in stile Rosa purpurea del Cairo sembra ogni volta appena uscito da un film di Camerini o dalle pagine di Pitigrilli.

Incline già di suo a non svegliare il can che dorme con un'inopportuna dedizione all'attività investigativa, il vicequestore Garzo sarà adesso fulmineo nell'archiviare come puramente accidentale la morte di Tetté: che ha ingerito per sbaglio del veleno per topi, come lo stesso dottor Modo (Enrico Ianniello) confermerà a Ricciardi dopo l'autopsia. Un evento tragico ma non infrequente tra gli scugnizzi di Napoli, avvezzi a nutrirsi di rifiuti e a rubacchiare da dispense e cantine. 

Tormentato dai dubbi per l'assenza del Fatto e, anche, dalla volontà di capire esattamente come siano andate le cose per cercare d'evitare che altri ragazzini possano far la stessa fine del piccolo Matteo, Ricciardi - nel frattempo sorpreso da un'insidiosa influenza di cui non avrà alcuna voglia di prendersi cura - sarà quindi costretto a procedere, per dir così, sotto copertura. Chiedendo al vicequestore qualche giorno di ferie col pretesto d'aiutare appunto Livia Lucani, l'amica della famiglia Mussolini da poco trasferitasi a Napoli, nei preparativi per un certo ricevimento: ferie subito concesse dall'ambizioso Garzo, che punta su un invito alla serata per rinsaldare la sua rete d'amicizie che contano. E inoltrandosi da solo in un miserabile universo materiato di miseria, sopraffazione e violenza: un universo che ha visto il piccolo Matteo, il più giovane tra gli ospiti della parrocchia, subire le quotidiane angherie dei ragazzi più grandi e il sadismo dello stesso don Mansi. 

Affidato come apprendista al saponaro Cosimo Capone (Andrea Simonetti), un rivendugliolo d'abiti usati e cianfrusaglie che lo costringeva a rubare nelle case mentre lui intratteneva in chiacchiere padrone e cameriere, Matteo è stato inoltre vessato dall'ambiguo sagrestano (Giuseppe Gavazzi) che - oltre a molestarlo forse lui stesso - l'ha accompagnato un paio di volte da un misterioso signore (Orlando Cinque, nei panni di Edoardo Sersale) che se l'è portato via per qualche ora...

Un universo agghiacciante e cupo, dunque, quello ospitato nella parrocchia di don Antonio: solo in minima parte smussato dalla circoscritta e in fondo inane presenza d'un paio di ricche borghesi nelle vesti di dame di carità, che una tantum si palesano in parrocchia per fare un po' di scuola ai ragazzi. Tra loro la spaurita signora De Nicola, col suo fisico sottile e le occhiate ansiose verso l'incombente sacerdote: nell'episodio tv, in completa rimodulazione rispetto al ben più disteso e gustoso personaggio letterario, la grassa dama con un pesante cappotto dal collo di pelliccia e spessi guanti in pelle che arringa i ragazzi laceri nell'aula gelida, poggiando sulla cattedra due amaretti da regalare in premio a chi avrà studiato e perdendo la pazienza col cacaglio Tetté che non riesce a finir le frasi... E la più giovane Carmen Fago di San Marcello (un'intensa Christiane Filangieri), che invece ha amato il bambino come un figlio, il figlio che la sorte non le ha concesso nel matrimonio, e non sa darsi pace della sua morte.

Continuando testardamente a vagare per le strade a caccia, per una volta, lui per primo dei suoi fantasmi (o meglio d'un solo fantasma riluttante a mostrarsi, quello del piccolo Matteo), il sempre più febbricitante e tossicoloso Ricciardi finirà col crollar svenuto sotto il diluvio proprio davanti alle luccicanti cromature della berlina di Livia, a spasso per la città nella notte di novembre e pronta a soccorrerlo e portarlo a casa con sé. In grado di riconoscere un'occasione quando si presenta, la bella vedova Vezzi (una perfetta Serena Iansiti) vivrà quindi finalmente il suo primo incontro d'amore con lo sfuggente commissario: innamorato della dirimpettaia Enrica (Maria Vera Ratti) e comunque deciso a non coinvolgere nessuno nel proprio terrificante destino d'interlocutore di fantasmi.

E quindi pronto, alle prime luci, a catapultarsi di nuovo per le strade immerse nell'alba grigia del giorno dei morti per fuggire da Livia e da sé stesso. E per non dover fare i conti col suo tradimento nei confronti dell'amata Enrica: che nel frattempo ha consolidato l'affettuosa amicizia con Rosa, l'anziana tata cilentana di casa Ricciardi (una tenerissima Nunzia Schiano, qui in una delle sue prove migliori). E che, per di più, ha dato seguito alla timida presa di contatto dello stesso commissario, rispondendo alla lettera inviatale da quest'ultimo per sapere se non vi dispiace essere salutata, quando occasionalmente vi vedo da lontano...

Trasposizione efficace e fedele dell'omonimo romanzo dello scrittore campano, Il giorno dei morti registra alcune ottime interpretazioni. Tra le altre quella di Antonio Milo nei panni di Raffaele Maione, fedele brigadiere e compagno di strada di Ricciardi, in sofferta elaborazione del lutto per la morte del primogenito Luca: emozionante la scena del cappotto tirato fuori dall'armadio e stretto tra le braccia dall'uomo in lacrime. E, ancora una volta, quella di un Mario Pirrello dai fulminei voltafaccia e d'una Maria Vera Ratti in perfetto passo doppio con tata Rosa. Ma anche di un'ammaliante Serena Iansiti, testarda sirena comparsa sul cammino di Ricciardi per trarlo in salvo invece di lasciarlo annegare tra i flutti della sua tempestosa esistenza; e del gruppo degli scugnizzi coordinato da Peppe Mastrocinque. 

Forse il più convincente e completo tra quelli visti fin qui, Il giorno dei morti si avvale poi degli ormai abituali plus dati da costumi, ambientazione e scenografia; e dalla bella fotografia di Anna Camerlingo, perfetta nel rendere l'opalescenza livida dell'alba di novembre e il grigiore ineluttabile di queste vite ai margini.

Non del tutto riuscito però il finale, con la lacrimosa confessione di Carmen, che incontra Ricciardi sulla tomba di Tetté e, colpita dall'aspetto stanco dell'uomo, gli offre di riaccompagnarlo in macchina, consegnandolo così finalmente al Fatto. Accoccolato sul sedile posteriore della berlina, infatti, il piccolo Matteo sussurrerà allo stravolto commissario il proprio ultimo pensiero (“Grazie per i biscotti. Ti voglio bene, mamma...”): parole che Ricciardi ripeterà alla donna in lacrime, suscitandone il tempestoso tentativo di discolpa. 

Ossessionata dalle richieste di denaro del cognato Edoardo, lo zoppo che ogni tanto scambiava due chiacchiere esplorative col bambino, e dal terrore che l'uomo scoprisse la verità sul legame che la univa a Tetté e se ne servisse per privarla del patrimonio del marito (il mostro affetto da una gravissima malattia nervosa e ormai prossimo alla fine), la donna ha infatti affidato la sorte del piccolo a una sorta di roulette russa. Offrendogli, durante una delle tante gitarelle in macchina a tu per tu, un paio di biscotti avvelenati in mezzo a altri innocui: e assistendo poi inerte alla scelta fatale, che ha ucciso il bambino tra atroci convulsioni. Nato da una relazione adulterina di Carmen con Matteo, il medico del marito ormai all'ultimo stadio della sua malattia (che lo costringe a viver chiuso in casa in una stanza imbottita costruita apposta, un po' come la moglie pazza di Rochester), Tetté rappresentava infatti un intollerabile rischio per la madre. Almeno fino alla dipartita del mostro, del resto imminente: quando il patrimonio di famiglia sarebbe stato definitivamente suo e l'accogliere in casa il figlio illegittimo meno problematico.

Nell'attesa di restar vedova, Carmen aveva dunque cercato un difficile equilibrio, vegliando da lontano sul bambino per non esporsi alle indagini dei parenti (“Sarebbe stato facile far due più due, alla famiglia del mostro: a quel debosciato del fratello, quel vigliacco che vuole mettere le mani sui miei soldi, proprio ora che il mostro sta morendo, proprio ora che finalmente potrò vivere la mia vita”). E affidando il neonato Matteo a un contadino per poi inserirlo tra gli scugnizzi del terribile don Antonio e illudersi un po' assurdamente d'alleviarne l'infelicità con gite al mare e dolcetti. Il tutto nel superstizioso - e più volte sottolineato - terrore che la verità venisse a galla, facendole perdere tutto ormai a un passo dalla liberatoria dipartita del consorte: “Perché io sono stata povera... Io ho sopportato le privazioni, perché mio padre si era giocato tutto, perché mia madre sapeva solo piangere. E adesso che possedevo quello che avevo sempre voluto, la ricchezza, il benessere, non me li facevo togliere più”.

Un equilibrio precario, dunque, che le sempre più pressanti e circoscritte indagini del cognato ha infine irrimediabilmente compromesso: spingendo una Carmen pazza dall'angoscia (e tormentata dall'incapacità di scegliere tra rimanere ricca e sola o ridiventare povera e disperata) a spegnere in modo atroce la vita del suo bambino. 

Dettagliata e distesa nel libro, dov'è urlata in prima persona dalla Fago durante la folle corsa in macchina fuori dal cimitero, la tempestosa spiegazione contrae tempi e modi nella versione tv, dove l'imminente morte libera tutti del marito perde rilevanza; e l'improvvisa trasformazione della donna da madre vicaria in lutto a madre biologica omicida appare di fatto meno comprensibile.

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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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