Il mio Philip Lombard, un dandy sanguinario

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Il mio Philip Lombard, un dandy sanguinario

| Paola Rocco

Nella serie tv Rocco Schiavone nata dai romanzi di Antonio Manzini è l'anatomopatologo Alberto Fumagalli. Lo incontriamo sul set di Makari 2, la fiction poliziesca di Raiuno ambientata in Sicilia. L'11 dicembre debutterà al Teatro Ciak di Roma con lo spettacolo E non rimase nessuno. Cinquantacinque anni, attore, sceneggiatore (e pure psicologo: dal 2017 è iscritto all'Ordine degli Psicologi della Toscana), nella pièce della regina del giallo Massimo Reale è Philip Lombard, l'avventuriero dall'oscuro passato intrappolato con gli altri nove piccoli indiani sull'isola tagliata fuori dal mondo.

Massimo, sembra che il giallo sia un tuo costante compagno di strada professionale...
“L'amore per il crime mi segue da sempre, con il Teatro Ciak ho già recitato anche ne Il delitto perfetto di Frederick Knott, sempre per la regia di Anna Masullo. Questa che stiamo mettendo in scena è la trasposizione teatrale che la Christie realizzò nel '43 dal suo Dieci piccoli indiani, inserendo toni da commedia e alleggerendo lo spessore cupo della versione romanzesca in favore del divertimento e della voglia d'evasione del pubblico inglese, stremato dai lunghi anni di guerra e ansioso di tornare alla vita. Nulla di meglio quindi che un crime, un gioco adrenalinico in cui gli spettatori sono lanciati sulla pista dell'assassino. Con le dovute differenze, ma è un po' quello che vorremmo fare anche noi, dopo la lunga sospensione della pandemia”.


La locandina dello spettacolo in scena al Teatro Ciak dal 7 dicembre

Infatti il finale della pièce è diverso da quello del romanzo.
“Sì, uno dei due è più ottimista, l'altro meno. La Christie forse si disse che nel clima difficile del dopoguerra appioppare agli spettatori una storia eccessivamente angosciosa sarebbe stato un errore. Certo l'idea di base è la stessa, quest'invito su un'isola misteriosa che intrappola insieme personaggi diversissimi, uniti però tutti da un segreto da nascondere e, poi, dalla necessità di sottrarsi a una macchinazione micidiale, che sembrerebbe tesa a eliminarli uno dopo l'altro sulla scorta di una filastrocca per bambini. Un meccanismo da camera chiusa (nessuno può arrivare sull'isola o allontanarsene) in puro stile agathiano, con la bella villa a picco sul mare, i personaggi altoborghesi e in più, a tratti, una coloritura comica per alleggerire la tensione”.

Massimo Reale nel ruolo del capitano Lombard

Il cast impegnato in questa trasposizione è di spessore, per citare solo un nome Mariano Rigillo è il giudice Wargrave. Tu interpreti l'avventuriero Philip Lombard.
“Il mio personaggio è un ex militare che ha abbandonato nella boscaglia i suoi fucilieri per riuscire a salvarsi. Questo è il suo segreto, l'accusa che gli lancia la voce dal grammofono. Ma tutti i dieci piccoli indiani hanno un vissuto che ci tengono a non rivelare, o almeno a smentire. Lombard è l'unico che lo ammetta, che confessi cioè - se vogliamo anche con un certo candore - d'aver consegnato alla morte venti persone per motivi d'interesse personale. In sostanza è l'unico che sembra non avere alcun problema a riconoscersi un assassino, con due riserve mentali, però, o meglio due motivazioni, che sono significative e di per sé rivelano il personaggio”.

Quali?
“La necessità, appunto, di salvare la pelle, di fatto una priorità assoluta; e poi una forte componente razzista: i fucilieri lasciati a morire di fame e di sete nella giungla sono solo degli indigeni... Tra l'altro per questo Lombard si becca un rimprovero dalla Brent, la terribile miss che ha spinto alla morte la sua cameriera ma è pronta a ricordargli con una certa durezza, proprio lei, che davanti a Dio siamo tutti uguali...”. 

Una forte personalità, Lombard...
“Io direi piuttosto un dandy sanguinario... Lombard è un uomo d'azione, un tipo carismatico che sembra potersela cavare in ogni circostanza, con l'inevitabile percentuale di seduzione che questo carattere si porta dietro (e che, non a caso, lo renderà interessante, e a volte persino affidabile, agli occhi di alcuni degli altri ospiti della villa). E tuttavia è lontanissimo dalla positività che spesso si associa a questo genere di personaggi, pur essendo di fatto il più attrezzato per affrontare la situazione creatasi sull'isola. Questo capitano ha lucidamente abbandonato i suoi uomini a una morte orribile ed è in realtà un tipo molto ambiguo: l'ambiguità del personaggio è alla base della sua vitalità e testimonia, ancora una volta, la straordinaria modernità della Christie e il motivo per cui i suoi testi sembrano inesauribili e vengono messi in scena, adattati, trasposti di continuo (l'ultima versione che mi viene in mente è una fiction su Sky, con l'isola misteriosa che si rivela una trappola mortale...)”.

Del resto anche il vicequestore Rocco Schiavone ha le sue zone d'ombra: ha ucciso, si rapporta con la malavita... 
“Sì, anche lui non è un carattere totalmente positivo, pur essendo capace di suscitare affetto, simpatia, amore. Ma è questo a farne un tipo unico, un personaggio assolutamente originale nel panorama della letteratura, non solo gialla, di oggi. Con Rocco è nato un personaggio di grande spessore, lontano dagli schemi più usuali, con gli investigatori specchiati, tutti d'un pezzo, monodimensionali. Schiavone è pieno di contraddizioni, e questo gli regala una profondità inedita. Del resto Antonio è stato allievo di Andrea Camilleri all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio d'Amico di Roma, noi ci siamo conosciuti là: lui era iscritto al secondo anno, io al primo. La familiarità con l'universo teatrale, lo studio della drammaturgia, lo hanno sicuramente aiutato a costruire personaggi complessi”.

A proposito, quando vedremo di nuovo sul piccolo schermo vicequestore e compagni?
“Le riprese della nuova stagione dovrebbero iniziare tra febbraio e marzo 2022, tra le ipotesi c'è quella di quattro puntate da 100 minuti. La regia sarà di Simone Spada, che ha firmato anche le altre a parte la prima, diretta da Michele Soavi”.

 
Massimo Reale nei panni dell'anatomopatologo Alberto Fumagalli

Nella serie di Raidue tratta dai libri di Manzini sei Alberto Fumagalli, l'anatomopatologo toscano che dopo un inizio forse un po' in salita riuscirà a conquistarsi l'amicizia e la stima del trasteverino Schiavone (con le periodiche scommesse su quanti secondi l'agente Pierron ce la faccia a restar vigile alla vista dei cadaveri, prima di crollare esanime sul pavimento dell'obitorio). Quanto c'è di tuo in questo personaggio?
“Intanto diciamo che il Fumagalli creato da Manzini è un livornese, mentre il mio parla fiorentino. Mi diverto sempre moltissimo a vestire i suoi panni: è un personaggio straordinario, tiene testa a Rocco, s'innamora della Gambino (il commissario della polizia scientifica di Aosta incarnato da Lorenza Indovina, ndr)... Io ho deciso d'interpretare Alberto Fumagalli come fosse Margherita Hack: questa scienziata di fama internazionale, che parlava con i Premi Nobel e gli raccontava le caratteristiche dei buchi neri come la mi' nonna contadina mi spiegava la ricetta della ribollita (“Allora, tu pigli il pane, tu lo metti nell'acqua...”). La Hack era una grande mente che parlava un linguaggio popolare, semplice, con quella specie d'indolenza, di noncuranza tipiche dei toscani. Il mio Fumagalli è un omaggio a lei. E alla mi' nonna, naturalmente”.

 

And Then There Were None
Un'isola che diventa trappola mortale

And Then There Were None, E poi non rimase nessuno, è l'adattamento teatrale che la regina del mystery Agatha Christie realizzò nel dopoguerra dal suo romanzo Ten Little Niggers, Dieci piccoli indiani. Pubblicato in origine a puntate - dal 6 giugno al primo luglio 1939 - sul Daily Express, e come romanzo giallo alla fine dello stesso anno in Inghilterra, TenLittle Niggers uscì in Italia nel '46 per i Gialli Mondadori, col titolo ...e poi non rimase nessuno, in inglese …and then there were none. Lo stesso titolo dell'edizione americana: essendo infatti nigger negli Stati Uniti un vocabolo spregiativo, si era deciso di adottare l'ultima frase della filastrocca che fa da filo conduttore, quella appunto sui ten little niggers che defungono l'uno dopo l'altro nei modi più diversi (la filastrocca era uscita negli Usa nel 1868). La soluzione non convinse, e l'edizione successiva fu titolata Ten Little Indians. Il luogo dov'è ambientata la storia, Nigger Island - questo il nome datole dai locali, per via del profilo negroide disegnato dalle rocce - è un'isola tidale del Devon: dall'inglese tide, marea (è detta infatti anche isola di marea), è un'isola collegata alla terraferma da un tombolo, una lingua di sabbia che periodicamente scompare sotto le acque rendendo impossibile l'accesso se non per mezzo di un'imbarcazione (in Ten Little Indians sarà infatti una barca a condurre gli ospiti a destinazione). Una situazione geologica instabile che nei secoli ha reso questo tipo di formazioni luoghi ideali per costruire fortezze, abbazie e altri luoghi votati all'impenetrabilità e all'isolamento, come il Saint Michael's Mount, sempre in Inghilterra, o il Castello Aragonese dell'isola d'Ischia. La Christie ambienta in questo scenario una delle sue invenzioni più cupe e claustrofobiche, con gli ospiti della villa che in preda al terrore siedono a tavola ogni sera solo per constatare l'assenza dell'ennesimo piccolo indiano, scomparso grossomodo come recitano gli ossessivi versi bambineschi della cantilena appesa al muro in ogni camera da letto. Un'impostazione abbastanza codificata - la vecchia casa dal fascino sinistro, i segreti inconfessabili, in breve la campitura gotica tradizionalmente associata a questo tipo di storie - si rovescia genialmente in qualcosa di completamente diverso, con la bella villa moderna e piena di luce piegata a far da palcoscenico a una vicenda ossessionante e progressivamente invasa dalle ombre. Per Alex R. Falzon, “la barca che conduce i protagonisti sull'isola ricorda quella di Caronte che trasporta i morti agli inferi” e il colore nero “che pervade tutto il romanzo e che si ritrova sia nella forma negroide dell'isola sia nelle statuette... non è dovuto a un pregiudizio razzista”, ma è “anch'esso una metafora morale e puritana, una proiezione della colpa collettiva cui i personaggi cercano invano di fuggire”. 
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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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