La porta scricchiolante in casa di Jane Austen, il frappè al cioccolato di David Lynch, le giacche di Erik Satie e i traslochi di James Joyce: aneddoti, curiosità e motti di artisti e scrittori dall'Ottocento a oggi
Torrenti. “Ho sempre lavorato, ed è come un torrente in piena che attraversa il paesaggio dell'anima. È bello perché porta via con sé molte cose. È una ripulitura. Se non avessi sempre lavorato, sarei impazzito” (Ingmar Bergman).
Portacatini. Il piano di marmo del portacatino, in camera da letto, ottimo per lavorare secondo la scrittrice Agatha Christie (“E andava bene anche il tavolo del soggiorno, tra un pasto e l'altro”).
Brocche. Le quotidiane abluzioni di Beethoven, talmente copiose da suscitare le rimostranze del padrone di casa, dal cui soffitto percolava l'acqua versata sul pavimento dal compositore: “Al mattino... si metteva mezzo nudo davanti al lavabo e si versava brocche su brocche d'acqua sulle mani, ululando la scala musicale dagli alti ai bassi e viceversa... Poi percorreva a grandi passi la sua camera con lo sguardo ora fisso, ora roteante, scribacchiava qualcosa e quindi riprendeva a versare acqua e a cantar forte. Erano momenti di meditazione profonda che nessuno osava commentare, fuorché... quando litigava con il proprietario della casa, perché spesso buona parte dell'acqua che versava su lavabo e pavimento filtrava al piano di sotto. Questo era uno dei motivi per cui Beethoven era considerato un pessimo affittuario” (A. Schindler, Vita di Beethoven).
Traslochi. Otto malattie e diciannove traslochi (in Austria, Svizzera, Italia e Francia), i diversivi che intervennero a movimentare i sette anni di lavoro occorsi a James Joyce per completare la stesura dell'Ulisse.
Confezioni. “È davvero insopportabile subordinare una vita intera al confezionamento di un libro” (Marcel Proust).
Colazioni/1. Frances Trollope, madre dello scrittore Anthony e scrittrice lei stessa, ma solo a partire dai cinquantatré anni e solo perché aveva bisogno di soldi per mantenere i sei figli e il marito malaticcio. Le incombenze familiari le occupavano tutta la giornata, così si alzava alle quattro del mattino per scrivere e smetteva in tempo per mettere in tavola la colazione.
Frances Trollope
Colazioni/2. “È impossibile scrivere con la testa piena di cartilagini di montone e dosi di rabarbaro” (Jane Austen).
Casette. La sobria casetta in pietra a due piani nei pressi di Bollingen, in Svizzera, trasformata nel corso degli anni con l'aggiunta di un paio di torrette ausiliarie e un cortile murato e adibita a rifugio da Carl Jung, che in questi soggiorni sulla riva del lago di Zurigo scrisse in pratica tutte le sue opere. Passata alla storia come la torre di Bollingen, malgrado le aggiunte e gli accorgimenti era di fatto una dimora primitiva: “Il pavimento in pietra non era rivestito e non c'erano la luce né il telefono. Era riscaldata a legna e per cucinare si usava una stufa a cherosene... L'acqua era presa direttamente nel lago e bollita” (in seguito fu installata una pompa a mano). “Se un uomo del XVI secolo arrivasse in casa, le uniche cose che troverebbe strane sarebbero le lampade a cherosene e i fiammiferi, per il resto sarebbe del tutto a suo agio”, scriveva l'autore de La psicologia dell'inconscio. A Bollingen, Jung (che in città “conduceva un'esistenza da stacanovista, visitando pazienti per otto o nove ore al giorno e partecipando spesso a lezioni e seminari”) s'alzava alle sette, “dava il buongiorno a piatti, pentole e padelle” e si preparava la colazione (caffè, salame, frutta e pane e burro), per poi dedicare un paio d'ore alla scrittura e dipingere o meditare nello studio: “A Bollingen vivo la mia vita vera, sono me stesso fino in fondo. Mi arrangio senza elettricità e bado da solo al fuoco e ai fornelli. Di sera, accendo vecchie lampade... Taglio la legna e mi cuocio il cibo. Questi atti semplici mi trasformano in un uomo semplice, e quanto è difficile essere semplici!”.
Rifugi. Caffè appena macinato, latte, pane dietetico, burro e marmellata, la colazione di Gustave Mahler durante i soggiorni estivi nella sua villa di Maiernigg, nell'Austria meridionale. Detestando la vista di chicchessia prima di cominciare a lavorare, Mahler si faceva portare il tutto dal cuoco nel rifugio in pietra dove componeva e che raggiungeva, fin dalle sei del mattino, tramite un comodo sentiero tracciato nella foresta, mentre il cuoco ne doppiava il percorso per un viottolo parallelo, ripido e scivoloso, onde evitare il rischio d'incontrarlo. Nel frattempo, la moglie Alma faceva in modo che nel bosco regnasse il silenzio astenendosi dal suonare il pianoforte (prima del matrimonio era stata anche lei una compositrice, ma Mahler l'aveva obbligata a smettere dicendo che in famiglia c'era posto per un solo compositore) e promettendo biglietti dell'opera ai vicini che avessero impedito ai cani di abbaiare.
Sogni. Dopo aver fatto colazione su una panca, all'aperto, scaldando il latte su un fornello a spirito e scottandosi le dita “non tanto per la goffaggine, quanto per la mente distratta da sogni” (come sosteneva Alma, la moglie di 19 anni più giovane, che aveva incontrato Mahler nel novembre del 1901 sposandolo quattro mesi dopo), il compositore si chiudeva nel rifugio e lavorava fino a mezzogiorno, scendendo al lago per una nuotata e fischiando alla moglie perché lo raggiungesse. All'una i due pranzavano insieme, per poi passeggiare tre o quattro ore sul lungolago: “Ogni tanto si fermava per annotare le idee su un taccuino, battendo il tempo per aria con la matita. Queste pause di composizione potevano durare anche più di un'ora, con Alma costretta a sedersi su un ramo o nell'erba senza osare guardare il marito”.
Definizioni. “Donna sposata”, l'unica definizione che veniva in mente ad Agatha Christie quando doveva specificare la propria occupazione.
Barrette. La segretaria assoldata da Henry James per scrivere sotto dettatura quando un'infiammazione al polso costrinse lo scrittore ad abbandonare la penna: “Per un po' le chiese di tornare dopo cena, per dettarle gli appunti serali e, per fare in modo che non si addormentasse, le metteva barrette di cioccolato accanto alla macchina da scrivere”.
Letti/1. Proust scriveva quasi sempre a letto, appoggiandosi goffamente su un gomito e sfruttando la fioca luce verdognola di un abat-jour, così ogni volta si ritrovava col polso dolorante e gli occhi rossi (“Dopo dieci pagine sono distrutto”). Quand'era troppo stanco per concentrarsi prendeva una compressa di caffeina, e a lavoro finito un sonnifero per riuscire a dormire. “Stai premendo il freno e l'acceleratore insieme” lo ammonì un amico. A lui non importava, era anzi convinto che la scrittura dovesse essere un processo doloroso: “Sembra quasi che, al pari dell'acqua di un pozzo artesiano, le opere di uno scrittore salgano tanto più in alto quanto più profonda è la sofferenza nel suo cuore”.
Marcel Proust
Letti/2. Anche Truman Capote amava scrivere a letto, con la macchina da scrivere in precario equilibrio sulle ginocchia (“Sono un autore assolutamente orizzontale”, diceva di sé), bevendo caffè, tè alla menta, sherry e martini - in progressione - e fumando sigarette (non sopportava però la vista di più di tre cicche, e se si trovava in visita da qualcuno, “piuttosto che riempire il posacenere s'infilava le cicche in tasca”).
Schizofrenia/1. “La signorina Stein si alza ogni mattina alle dieci e beve caffè contro la sua volontà” (Janet Flanner, James Thurber e Harold Ross, articolo sulla scrittrice Gertrude Stein e la sua compagna Alice B. Toklas uscito sul New Yorker nel 1934).
Pavoni. Il Maiden's Blush, un miscuglio di assenzio, mandarinetto, bitter, vino rosso e champagne, inventato da Toulouse-Lautrec “cercando di ottenere la sensazione di una coda di pavone in bocca”.
La bevitrice, disegno di Henry de Toulouse-Lautrec
Bastonate/1. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Getrude Stein e la sua compagna Alice B. Toklas scapparono da Parigi per rifugiarsi in una casa di campagna ad Ain, sul confine orientale francese: “[La Stein] preferisce scrivere fuori, soprattutto nella campagna intorno ad Ain, perché è piena di rocce e di mucche. La signorina Stein ama osservare le rocce e le mucche durante le pause della scrittura. Le due signore girano su una Ford finché non trovano un buon posto, quindi la signorina Stein scende e si mette su un seggiolino pieghevole, con carta da disegno e matita, mentre la signorina Toklas, impavida, prende a bastonate una mucca per farla entrare nel campo visivo della compagna... Quando l'artista è ispirata, scrive in fretta per circa un quarto d'ora. Molto più spesso sta invece seduta, semplicemente a guardare le mucche” (Janet Flanner, James Thurber e Harold Ross, articolo su Gertrude Stein e Alice B. Toklas, New Yorker, 1934). In effetti la Stein sosteneva di non esser mai stata capace di scrivere per più di mezz'ora al giorno, aggiungendo però: “Se scrivi mezz'ora al giorno, se sei costante, col passare degli anni è un mucchio di roba”.
Gertrude Stein
Mungitura. Secondo Richard Strauss, il suo bisogno di comporre era paragonabile alla mungitura.
Bastonate/2. Il deserto del New Mexico, dal 1949 dimora permanente di Giorgia O'Keeffe, avvezza a uscir di casa all'alba per controllare i serpenti a sonagli che infestavano la proprietà e ucciderli col bastone da passeggio (i sonagli, raccolti in una scatola e esibiti con orgoglio agli ospiti).
Barre di ferro. “Un uomo che vaga con una barra di ferro in mano sotto una tempesta di fulmini”, l'unica immagine che s'affacciava alla mente di Arthur Miller quando gli chiedevano della routine che seguiva per scrivere.
Arthur Miller
Noccioline. “Finire le prime bozze è come spingere una nocciolina col naso su un pavimento sporchissimo” (Joyce Carol Oates).
Ispirazione/1. Sporcizia e decadenza, i soggetti ideali per suscitare l'ispirazione secondo Gunther Grass, avvezzo a cominciar la giornata fotografando “le parti rugginose, abbandonate, trascurate e oltraggiate della città”.
Ispirazione/2. “Siediti e pensa al passato, prova a rivangare i brutti ricordi e cose del genere”, il motto creativo di Charles Schulz.
Ispirazione/3. “L'ispirazione è roba da dilettanti. La maggior parte di noi prende e si mette al lavoro” (Chuck Close).
Impiegati/1. Il posto da impiegato delle ferrovie, rifiutato a Karl Marx a causa della sua illeggibile calligrafia. Giunto a Londra come rifugiato politico nel 1849 e convinto di restarci al massimo qualche mese, l'autore del Capitale finì per viverci in pianta stabile con la moglie e i sei figli (tre dei quali morirono prima del '55). Afflitto dalla salute malferma, impossibilitato a svolgere un lavoro fisso e in condizioni complessivamente assai precarie, Marx ricevette a lungo il sostegno dell'amico e collaboratore Friedrich Engels, che gli inviava regolarmente delle somme di denaro (sottratte al fondo spese dell'azienda paterna) che l'altro scialacquava all'istante: “Credo che nessuno abbia mai scritto tanto sul denaro senza averne mai posseduto”.
Impiegati/2. La piccola cucina a gas acquistata da George Orwell nel '34, coi proventi del suo lavoro da impiegato presso il Booklover's Corner: chiamata Bachelor Griller, gratella dello scapolo, cuoceva, friggeva, grigliava e permise al giovane scrittore d'invitare a cena qualche amico, “senza esagerare”, nel suo piccolo appartamento.
Impiegati/3. Quando scrisse il suo primo libro, L'ammezzato, Nicholson Baker lavorava come impiegato e si era abituato a scrivere durante la pausa pranzo, sfruttando quell'oretta di beata e sacrosanta libertà per prendere appunti e buttar giù le idee per il suo romanzo: protagonista, un impiegato che rientra al lavoro dopo la pausa pranzo.
Muse. “La mia musa fa orario sindacale” (George Balanchine).
Zuccheri/1. Il frappè al cioccolato e le quattro, cinque, sei, sette tazze di caffè, con molto zucchero (“E c'era molto zucchero anche nel frappè al cioccolato. Era denso. In una coppa argentata”), ordinate per sette anni di seguito dal regista David Lynch al Bob's Big Boy, dopo l'ora di punta del pranzo: “Tutto quello zucchero mi esaltava e mi faceva pullulare di idee. Le scrivevo sui tovaglioli. Era come avere una scrivania e della carta. Dovevo solo ricordarmi di portare una penna”.
Zuccheri/2. Secondo Israel Levin, suo segretario dal 1844 al 1850, Kierkegaard possedeva “almeno cinquanta servizi di tazze e piattini, uno diverso dall'altro”. Il filosofo danese aveva un modo tutto suo di prendere il caffè, tenendo ben stretto tra le mani il pacco dello zucchero e rovesciandone un cumulo che finiva per sfiorare il bordo della tazzina. Poi aggiungeva il caffè, nero e molto forte, fermandosi qualche istante a guardarlo intridere lentamente il mucchio di zucchero per poi buttar giù il tutto in un sorso prima ancora che la liquefazione fosse completa: “Lo sciroppo corroborante era già scomparso nello stomaco del maestro, dove si mescolava allo sherry producendo altra energia che filtrava su, fino al suo gorgogliante cervello in fermento” (dalla biografia di Joakim Garff).
Secret window/1. Lo studio nella casa di Berkeley, in California, dove John Adams è solito comporre la sua musica. Adams possiede però anche un altro studio, “identico al primo, in un luogo remoto nei boschi”, dove a volte si rifugia per lavorare in compagnia del cane iperattivo e innumerevoli tazze di tè verde.
Secret window/2. “Sto in casa con le porte chiuse e le finestre oscurate, a brontolare” (Jean Stafford).
Attese. “Quando lavoro su un libro o su un racconto, scrivo tutte le mattine, se possibile non appena sorge il sole. A quell'ora non ti disturba nessuno ed è sempre fresco o freddo, così puoi metterti al lavoro e riscaldarti scrivendo... Se cominci alle sei del mattino, puoi tirare fino a mezzogiorno o anche smettere prima. Quando ti fermi ti senti svuotato e allo stesso tempo ti rendi conto che ti stai riempiendo di nuovo, come quando hai fatto l'amore con qualcuno che ami. Non c'è niente che può ferirti e non può succederti niente, e intendo davvero niente, finché non ricominci, il giorno dopo, e rifai la stessa cosa. È l'attesa del giorno dopo che è dura da sopportare” (Hernest Hemingway).
Diversivi. “Non mi alzo tanto presto. A colazione tergiverso, leggo i giornali e mento a me stesso dicendomi che lo faccio per rimanere aggiornato su quanto succede nel mondo, ma la verità è che cerco solo di rimandare il più possibile il terribile momento in cui dovrò mettermi a scrivere” (Kingsley Amis).
Granchi. Pur essendo piuttosto lento nell'iniziare i suoi progetti, che si alternavano a “lunghi periodi di vuoto”, dopo aver preso il via Italo Calvino procedeva velocemente: “È un po' come la storia di quel famoso artista cinese, cui l'imperatore chiese di disegnare un granchio e lui rispose: Mi servono dieci anni, una casa grande e venti servitori. I dieci anni passarono e l'imperatore chiese il disegno del granchio. Mi servono altri due anni, rispose l'artista. E infine chiese un'altra settimana e poi prese in mano la penna e disegnò il granchio in un istante, con un unico, rapido gesto”.
Esempi. “Penso che Cristo si sia levato dalla tomba così presto per raccomandare a tutti di alzarsi presto al mattino” (Jonathan Edwards, predicatore e teologo del Settecento, figura chiave del Grande risveglio e autore del sermone Peccatori nelle mani di un Dio adirato).
Abbandoni. “Mentre lavoro, lascio il corpo fuori dalla porta, come i musulmani che si tolgono le scarpe prima di entrare in moschea” (Pablo Picasso).
Schizofrenia/2. Le dodici giacche di velluto uguali - color castagna, con bombetta in tinta - acquistate nel 1898 dal compositore Erik Satie con una piccola eredità che aveva ricevuto. La gente di Arcueil lo chiamava il gentiluomo di velluto.
Porte/1. La proprietà grande e fatiscente acquistata nell'estate del 1930 da William Faulkner, che aveva lasciato il suo lavoro di sorvegliante alla centrale elettrica per dedicarsi alla ristrutturazione. A Faulkner piaceva scrivere in biblioteca, ma lì la porta non aveva la serratura, così lui toglieva il pomello e se lo metteva in tasca.
Corni. Quand'era al lavoro, i familiari di Mark Twain non osavano mai disturbarlo (se avevano bisogno di lui, suonavano un corno).
Porte/2. La porta cigolante che metteva in comunicazione l'ingresso col salone dove scriveva Jane Austen: la scrittrice si oppose sempre a un'eventuale sostituzione, perché quella porta le impediva d'esser sorpresa all'opera da eventuali ospiti, annunciati dallo scricchiolio (quando c'erano visite, la Austen si affrettava a metter via fogli e penna, immergendosi nel ricamo come la madre e le sorelle).
Jane Austen
Esattori. Nel 1910, Joyce viveva a Trieste con la moglie Nora, i due figli e il fratello minore Stanislaus, lottando per trovare un editore per Gente di Dublino e adattandosi a dar lezioni di piano in casa per tirar su qualche soldo: “Verso le undici si alza, si rade e si siede al pianoforte (che ha acquistato a rate e rischia sempre di dover restituire). Molto spesso, quando canta e suona, viene interrotto dall'arrivo di un esattore... L'esattore entra, lo sollecita con scarso successo e viene abilmente coinvolto da Joyce in una conversazione sulla politica o sulla musica. Quando se ne va, Joyce torna al piano finché Nora non lo interrompe. Ti ricordi che hai una lezione? oppure Ti sei rimesso una camicia sporca, e lui risponde: Non ho intenzione di cambiarmi” (dalla biografia di Richard Ellmann).
Suocere. Le visite del giovane Mozart alla futura moglie, più o meno lunghe a seconda dell'accoglienza riservatagli dalla suocera: “In base alle frecciate che mi tira e alla mia capacità di sopportarle, torno a casa alle dieci e mezza oppure alle undici”.
Biglietti. Una foto seduto sul water con la scritta lasciati tutto alle spalle, il biglietto da visita di Louis Armstrong.
Notizie tratte da Rituali quotidiani (Daily Rituals) di Mason Currey.
Foto di copertina: Agatha Christie.
Rituali quotidiani
di Mason Currey
Antonio Vallardi Editore (2016)
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