La Luna e Margherita

Incontri

La Luna e Margherita

| Massi Dicle

Ho incontrato per la prima volta Margherita Pirri quasi dieci anni fa. L’antefatto: un amico comune mi aveva fatto ascoltare Cara Milano ed ero rimasto colpito, oltre che dalla limpidezza della sua voce, dal tono sognante con cui veniva evocata la metropoli meneghina, molto diverso da quello di solito utilizzato per descriverla. Tradizionalmente Milano nelle canzoni viene associata alla frenesia industriale della gaberiana Come è grande la città, o alle pose un po’ sborone di O mia bella madunina: sentirla raccontare come una città incantata e gentile mi aveva suscitato la curiosità di scoprire qualcosa di più dell’autrice.

Mi ero allora presentato un po’ timidamente tramite un messaggio privato al suo profilo di Facebook, esprimendole il mio apprezzamento per il brano: un genere di cose che spesso mi sento di fare, perché ritengo giusto (anzi: doveroso) incoraggiare gli artisti, soprattutto quelli esordienti, ma che mi mette sempre in imbarazzo quando si tratta di un’artista donna, per di più di bell’aspetto, al pensiero di come potrà venire interpretato un approccio così diretto. Margherita invece fu contenta che l’avessi contattata e mi invitò ad assistere qualche giorno dopo a un suo concerto al Panta Rei, uno di quei locali che coniugano cibo e musica e di cui fino a pochi anni fa era ancora ricca Milano. L’esibizione mi confermò le sue notevoli doti canore, rivelandomi altresì il suo modo disinvolto ma garbato di rivolgersi al pubblico, senza la spocchia che non di rado sembra dovere necessariamente accompagnare la bravura tecnica.

A fine serata ci conoscemmo di persona e potei acquistare dalle sue mani Daydream, il primo album “ufficiale" pubblicato nel 2011, che conteneva tra le altre The lonely, Daydream e Lonely Moon. Margherita mi rivelò di avere al suo attivo anche due dischi “non ufficiali” (sul sito web attuale non sono nemmeno menzionati), vale a dire I’m changing del 2009 e My secret place del 2010, che acquistai ai successivi concerti. In breve, quella che sulle prime mi era sembrata un’artista esordiente (e tale andava in effetti considerata per la giovanissima età), mi apparve più propriamente come un’autrice già in possesso di un vasto repertorio di canzoni, dall’arrangiamento essenziale ma notevoli per raffinatezza compositiva. Autrice poliglotta, per di più: la maggior parte delle sue canzoni era composta in lingua inglese e il numero dei brani in italiano era equiparabile a quello dei brani in francese… senza contare alcuni pezzi in tedesco!

Inutile dire che da allora ho cominciato a seguirla con passione nella sua multiforme attività musicale, che se non l’ha portata ancora sufficientemente all’attenzione del grande pubblico, l’ha però gratificata di numerosi riconoscimenti da parte della critica (tra questi mi piace in particolare menzionare il DEMO-AWARD, il premio indetto dalla storica e purtroppo improvvidamente cancellata trasmissione serale di Radio 1 Rai). Si è sviluppato tra noi, in aggiunta a quello classico artista-fan, anche un rapporto di amicizia e Margherita mi ha fatto l’onore di esibirsi alla presentazione di alcuni miei libri.

Nel 2015 Margherita è uscito il suo secondo album, Looking for truth, che conteneva 11 brani in inglese in inglese (tra cui Say to me), tre in italiano (tra cui Un giorno di maggio) e uno in francese (la bellissima Le nuit e le jour)

Nel 2017 è stata poi la volta di Past and present, un’antologia delle canzoni contenute nei primi due dischi non ufficiali, alcune già molto note al pubblico dei suoi concerti (The clock, A song for you, Stars, Falling, You and I), ma anche due piccoli capolavori forse meno conosciuti come Adrien e Stay beside me.

Nel frattempo, la sua voce era stata notata nientemeno che da Giorgio Armani, che nel luglio 2015 aveva scelto il suo brano Say to me per la colonna sonora della sua sfilata all’Haute Couture di Parigi. Più in generale, l’eleganza musicale di Margherita ha trovato un naturale gradimento dal mondo della moda, tant’è che nel 2019 (in collaborazione con il D.J. Marco Domeniconi) è stata chiamata a comporre brani per le sfilate di Max Mara e Liu Jo, che poi sono stati “passati” anche negli showroom europei dei due brand.

Frutto di questa esperienza è stata la pubblicazione con l'etichetta Trichorus Edizioni della raccolta Folktronic Sounds, contenente sette pezzi dance e lounge scritti appositamente per le maison

L’anno scorso, infine, Margherita ha dato un saggio delle sue doti di interprete in Music From The World, una raccolta di cover di canzoni d’autore italiane (Gino Paoli) e internazionali (Kate Bush, Joni Mitchell, Rod Stewart, Noir Désir), nonché di canti tradizionali (la natalizia Auld Lang Syne, l’inno Amazing Grace e la ballata medievale svedese Herr Mannelig). A completare il disco anche due canzoni inedite: Luna bianca e Carry me home.

Veniamo giorni nostri: a inizio anno Margherita ha pubblicato Pensieri. Personalmente, è un disco che aspettavo da tempo e che, durante le nostre conversazioni, avevo più volte invocato da Margherita. Non che il mio parere, come quello di tutti i fan, sia stato determinante nella sua scelta, ci mancherebbe: con questo inciso voglio solo trasmettere al lettore la mia gioia perché i miei “voti” sono stati esauditi.

Pensieri, infatti, è un disco costituito interamente da canzoni in italiano, per la maggior parte inedite, ma col felice recupero di brani già apparsi nella sua discografia precedente. Il risultato finale non dà per niente l’impressione di una semplice giustapposizione di vecchio e nuovo: il lavoro risulta al contrario compatto e coerente, come se si trattasse di un unico discorso mai interrotto in tutti questi anni.

Le canzoni già edite sono Cara Milano e Fiore rosa (da Daydream), Briciola di polvere e Un giorno di maggio (da Looking for truth), e Luna bianca (già bonus track di Music for the world e qui in extendend version).

Una menzione particolare tra le canzoni “vecchie” merita Quando fuori piove, che avevamo già trovato nell’antologico Past and present e prima ancora in Looking for truth (in duetto con la cantautrice spagnola Shani Ormiston), ma che in realtà era stata pubblicata per la prima volta addirittura nel 2010, nel giovanile My secret place (in cui appariva anche una versione in lingua inglese, a mio parere meno efficace: The sun keeps falling). Questa canzone, tra le più belle di Margherita, ha quindi subito diverse incarnazioni, ma è nata perfetta. Nell’ultima versione di Pensieri ha forse perso un po’ della sua struggente semplicità originaria, ma ha acquisito nuove vibrazioni che ammaliano l’ascoltatore in un sogno senza tempo.

Non sono state invece riproposte due canzoni già presenti nel primo disco assoluto di Margherita I’m Changing e già riprese in Past and present, ossia Lorelei e la dolcissima Lei nel vento. E nemmeno Come sabbia, mai più ripresa dopo My secret place e rimasta in un certo senso orfanella. Ovviamente, quando si devono decidere le canzoni da inserire in un album molteplici sono i criteri che entrano in gioco e in un repertorio così ricco e intenso come quello di Margherita ogni selezione è difficile. In questo caso avrà probabilmente influito la necessità di far posto ai nuovi brani, che sono Pensieri, Il mare la sera, Il rumore del tempo, Che cosa è il cielo, Parlami se vuoi, Un bacio ancora e poi e L’unica legge che non so (le cui liriche si devono a Gabriella Baroni).

Ora do finalmente la parola all’Artista, precisando che la conversazione che segue si è svolta in più riprese, prima tramite mail e messaggi WhatsApp e infine al telefono. Dopo lo scoppio della pandemia non ci siamo ancora visti di persona, ma spero di poter tornare al più presto ad assistere a un suo concerto.

Margherita Pirri

Margherita, la prima cosa che si nota ascoltando le tue canzoni è la tua voce limpida e avvolgente. È vero che inizialmente volevi fare la cantante lirica?
Per un certo periodo, sì. A diciassette anni avevo cominciato a studiare canto lirico come privatista con Silvana Manga, docente presso il Conservatorio Verdi di Milano che in passato si è esibita come soprano in tantissimi teatri: una bravissima insegnante che è stata per me una guida e un punto di riferimento. Avevo anche fatto l’esame d’ammissione in conservatorio, arrivando seconda in lista d’attesa. Purtroppo, a un certo punto ho dovuto interrompere le lezioni a causa degli impegni universitari: si vede che il destino aveva altri progetti per me.

Ma con la musica avevi cominciato prima.
Sì: sono stata attratta dalla musica e dagli strumenti musicali fin da bambina, tanto che quando avevo otto anni chiesi ai miei genitori di farmi prendere lezioni di pianoforte. La chitarra invece l’ho imparata a suonare da autodidatta, a quindici anni.
Di recente ho iniziato a suonare l’arpa celtica, che mi ha sempre attirato, e ogni tanto suono anche la mia harp-guitar.

L’harp-guitar è lo strumento che ti si vede suonare nella foto di copertina?  È vero che sei stata tu a crearla insieme a Davide Castellaro, il liutaio di Angelo Branduardi?
Gli strumenti della musica nordica sono sempre stati la mia passione, l’arpa in particolare. Su internet avevo visto diversi video di Branduardi in cui si esibiva con la harp-guitar, che è essenzialmente due strumenti in uno: una chitarra e un’arpa. Mi ero allora documentata un po’, scoprendo che quella di Branduardi era stata appunto disegnata da Castellaro e l’ho contattato.
Quella che ho disegnato con Davide, però, è strutturalmente diversa dalle tipiche harp-guitar: fisicamente assomiglia a un’arpa, ma presenta un’arcata più sottile e ha delle corde anche nella parte bassa, per i suoni alti. Quando la si maneggia si ha così l’impressione di suonare diversi strumenti allo stesso tempo. È molto complicata da suonare, ma è bellissima.

L’hai usata in qualche brano?
L’ho utilizzata per alcuni arrangiamenti di colonne sonore che ho composto e sicuramente la utilizzerò in qualche brano in futuro.

Quale strumento preferisci per comporre e quali per esibirti?
Scrivo soprattutto con il pianoforte e la chitarra. Nei live, per una questione pratica, è molto più semplice portare la chitarra, perché molti locali non hanno il pianoforte, ma ultimamente ho preso a portarmi dietro il piano digitale.

Torniamo alla tua formazione artistica: una grande importanza l’hanno avuta senza dubbio i tuoi studi alla Scuola Tedesca.
Ho frequentato la Scuola tedesca di Milano dall’asilo fino alle superiori, conseguendo una maturità sia tedesca che italiana, e posso dire che è stata la mia seconda casa. Mi ha permesso di imparare diverse lingue, a partire ovviamente dal tedesco che era la lingua in cui si tenevano tutte le lezioni: matematica, geografia, fisica, chimica, filosofia, tutto in tedesco! L’italiano veniva studiato come una lingua straniera, partendo dal tedesco, come anche il francese e l’inglese. Da ciò è nata la mia facilità a scrivere testi in diverse lingue, soprattutto in inglese: per me è un processo naturale.

So che la Scuola Tedesca dà molto spazio all’arte e alla musica.
È vero, hanno grande rilievo nel percorso didattico. Io ad esempio ho frequentato corsi di teatro e di musica. Soprattutto, la scuola aveva un’orchestra e un coro che provavano ogni settimana e si esibivano in occasione delle festività, anche al di fuori della scuola e non solo a Milano. Io facevo parte del coro e insieme a qualche mia compagna di corso ero stata scelta a esibirmi in piccoli pezzi da solista. Conservo un bellissimo ricordo dei ritiri musicali che facevamo a Caravate, due-tre giorni di prove prima dei concerti, in cui cantavamo e suonavamo tutto il giorno.

Questa precoce “battesimo” col pubblico spiega la tua disinvoltura sul palco.
Sicuramente. Quando avevo otto anni ho recitato come protagonista nel musical Tabaluga: ballavo e cantavo in tedesco e ho così potuto imparare molto presto ad affrontare l’emozione di esibirmi di fronte ad un pubblico numeroso, come era quello delle recite e dei concerti della scuola. Quell’esperienza credo mi abbia in qualche modo dato “l’imprinting”.

A che età hai cominciato a comporre canzoni?
Ho iniziato a scrivere le mie prime canzoni quando ho imparato a suonare la chitarra, a quindici anni, anche se già a nove anni mi era capitato di comporre delle piccole musiche per pianoforte: ho ancora gli spartiti da qualche parte.

In che lingua componevi?
Inizialmente, quando ho cominciato a comporre, non prendevo neanche in considerazione l’ipotesi di scrivere in italiano, perché fino a quell’età avevo ascoltato solo canzoni in inglese e in francese. Ascoltavo più o meno tutti i generi, ma avevo una grande passione per Elton John e Cat Stevens e per le cantautrici americane Joan Baez e Joni Mitchell. Mi piacevano però anche artiste più pop come Nathalie Imbruglia e Lene Marlin.

Di cosa parlavano le tue prime canzoni?
Di amore, ovviamente, e in generale di sentimenti. Poi, crescendo, si sono aggiunti la nostalgia, il tempo che passa, le speranze.

L’italiano, invece, è venuto più tardi.
Sì, dopo i 18 anni, in concomitanza con l’ascolto dei cantautori, in particolare di Tenco, Paoli e Battiato, che amo tanto. A quel punto ho sentito l’esigenza di comporre nella nostra lingua e sono nate le mie prime canzoni: Come sabbia, Quando fuori piove, Un giorno di maggio, Briciola di polvere.

Che differenza hai notato tra il songwriting in italiano e inglese?
In italiano è più complesso scrivere, perché i concetti hanno bisogno di più parole e di frasi più lunghe rispetto all’inglese, che è una lingua molto più concisa. I maggiori cantautori italiani nelle canzoni sono costretti a usare strofe lunghissime, parlano tanto (ride). Io invece ho portato la mia formazione di autrice in lingua inglese anche nella scrittura in italiano: non mi piace dilungarmi, cerco di andare diritta al punto, utilizzando melodie semplici e testi concisi. Il mio motto è less is more: molto con poche parole.

Ritieni che le tue canzoni in italiano trattino argomenti diversi rispetto, ad esempio, a quelle in lingua inglese? So che alcune autrici, ad esempio, preferiscono trattare tematiche scabrose in inglese.
In realtà io non ho mai affrontato tematiche scabrose (ride). Parlo della mia vita quotidiana, delle mie esperienze e delle persone che ho conosciuto. A volte ho raccontato anche storie precise, come in The bride, che parla di una sposa abbandonata il giorno delle nozze: ma si tratta comunque di una canzone simbolica, che parla di tradimento.
Se vuoi una tematica per me scabrosa, ma non in senso erotico, posso citare Lookin for truth, in cui parlo della fatica di seguire la propria strada in una società in cui se non ti conformi alle aspettative comuni sei strana… e se vuoi fare l’artista anche peggio (ride).

E il francese?
Mi piace molto scrivere in francese, è una lingua che amo tantissimo, forse anche perché da bambina durante l’estate andavo spesso in Francia. Adoro Adamo, Françoise Hardy e soprattutto Michel Polnaref, l’Elton John francese: un vero genio.
Ho anche inciso anche una mia versione di Le vent nous portera dei Noir Désir. Pensa che ha avuto tantissime visualizzazioni su youtube, oltre 300.000! Mi scrivono in tantissimi per farmi i complimenti e continuo a venderne tante copie digitali.  È stata una bella sorpresa.

Tu hai scritto colonne sonore e hai prestato le tue canzoni per le sfilate di Armani. L’hai conosciuto di persona?
Ho avuto il grande piacere di incontrarlo a una sfilata nel febbraio del 2016. Armani è una persona di grande fascino e carisma e confesso che ero molto emozionata.

Cosa pensi del mondo della moda?
Il mondo della moda mi ha sempre ammaliato con i suoi colori e la sua creatività: per questo è stato bellissimo scrivere canzoni che potessero fare da cornice alla bellezza e al fascino di un defilé. La moda e la musica sono molto legate e, come si può vedere anche dalle pubblicità, un giusto connubio tra le due può diventare arte.

Margherita Pirri e Giorgio Armani

Visto che siamo in argomento, tu fai attenzione al tuo look e investi molti danari in vestiti?
Non sono mai stata una persona dedita all’acquisto di capi di marca o costosi (ride). A parte gli scherzi, ho sempre avuto un mio stile nel vestire e non mi è mai interessato “l’apparire” o uniformarmi alle mode o agli altri. Se devo spendere soldi, preferisco piuttosto investire nella mia musica, in nuovi strumenti o apparecchiature per registrare e arrangiare, per migliorarmi sempre di più e crescere artisticamente.

Hai vinto diversi premi. Che valore attribuisci a questi riconoscimenti?
Credo che ogni artista abbia un suo percorso: i premi e i riconoscimenti sicuramente aiutano, ti fanno sentire appagato e premiano molti sacrifici, ma non bastano. È fondamentale essere tenaci e non demordere, perché molto spesso si rimane delusi e si è tentati di abbandonare la musica per scegliere un’altra strada.
Ti confesso che per me è molto più importante essere premiata dal pubblico: venire apprezzata, leggere commenti di persone che grazie alla tua musica provano delle emozioni e che la trovano stimolante. Per un artista il pubblico è tutto. È per questo che scriviamo e cantiamo: per trasmettere qualcosa agli altri, altrimenti rimarrebbe tutto chiuso in un cassetto.

Brutalmente: non preferiresti avere meno apprezzamenti della critica e in cambio, magari, andare a Sanremo?
Sanremo è un festival che ormai fa parte della tradizione musicale italiana: sicuramente tutti vorremmo esibirci su quel palco almeno una volta nella vita. Per quanto mi riguarda, però, la musica non si ferma qui in Italia e ho sogni più “globalizzati”: ad esempio, che mie composizioni possano essere inserite in un film o in una serie tv straniera, in modo che la mia musica possa essere ascoltata in tutto il mondo.

A proposito, ho notato che tu monti spesso dei video per le tue canzoni. Il mio preferito è quello di Adrien, ma in generale hai molto talento anche in questo campo. Ti ritieni un’artista multimediale?
Oggigiorno, con la nascita di tante nuove applicazioni e piattaforme musicali, è fondamentale essere “multimediali”: fare video, presentazioni, live in streaming eccetera. Io mi occupo anche della parte creativa delle copertine di ogni mio album e dei singoli.
Montare i video, poi, mi appassiona molto. Avendo studiato cinema, sono consapevole che se spesso la musica o le canzoni migliorano le immagini e le scene di un film, allo stesso modo un bel video può esaltare una canzone, stimolando la fantasia dell’ascoltatore, suggerendo interpretazioni eccetera. Il mio obiettivo artistico non è solo creare canzoni, ma anche dei video adatti che le accompagnino, con i giusti effetti, colori, immagini. Allo scopo, mi servo sia di filmati d’archivio, che sono disponibili nella rete, sia delle mie riprese, nelle quali appaio talvolta in prima persona.

Nel 2020, con Music from the world, ti abbiamo scoperto nella versione di interprete. A mio parere, un’autrice non nasce dal nulla, ma è inserita in una tradizione, in una cultura, in un movimento magari. Ritengo quindi naturale che sia anche interprete di brani altrui: fanno parte della sua formazione e della sua creatività. Sei d’accordo?
Certamente, sono d’accordissimo. La creatività può essere espressa anche mediante cover, in quanto ti danno modo di mostrare la tua versatilità canora. Quando canti canzoni di altri è un po’ come se le riscrivessi, perché prendono la forma della tua sensibilità, anche nell’arrangiamento, senza ovviamente poter raggiungere l’originale.
Inoltre, e questo per me è stato molto importante, con le cover puoi creare un legame con moltissime persone che non ti conoscono e avvicinarle anche alla tua musica.

Ma come è nata l’idea di fare delle cover?
Fino a qualche tempo fa ero piuttosto chiusa su questo versante e non avrei mai preso in considerazione l’ipotesi di cantare canzoni di altri. Nei live, cantavo solo miei pezzi. Ho iniziato facendo una mia versione di Auld Lang Syne, non proprio una cover perché si tratta di una canzone tradizionale scozzese che augura il buon anno. Era una sorta di regalo di Natale per i miei follower

Infatti, ricordo che me la inviasti.
Sono rimasta molto colpita dal grande riscontro che questa cover ha avuto in tutto il mondo. Solo su Facebook oltre 100.000 visualizzazioni: così ho deciso che fare cover poteva essere una cosa buona e giusta (ride).
In quel momento, poi, lavoravo come insegnante di lingue: era molto impegnativo e mi sentivo un po’ frustrata, perché non riuscivo a comporre nuove canzoni. Mi proposi allora di pubblicare almeno una nuova cover al mese ed è stato quasi terapeutico. Alla fine, ho raccolto tutte le cover di un anno e ne è nato Music for the world in cui, oltre a canzoni note, ci sono anche canzoni tradizionali. Coerentemente con il principio di stabilire un legame con la mia musica, di cui parlavo prima, ho inserito anche un paio di miei brani.

Ma continuerai a fare cover?
Questa strada non l’ho abbandonata nemmeno ora che ho lasciato il lavoro di insegnante e mi dedico esclusivamente alla musica. Mentre compongo brani nuovi, mi piace rivisitare e riarrangiare canzoni di artisti che apprezzo e magari scopro man mano.

Parliamo adesso di Pensieri, il tuo nuovo album. Cosa ti ha spinto a pubblicare un disco completamente in italiano?
In realtà era da tempo avevo in mente di produrre un album che raccogliesse le canzoni più significative del passato e nuovi brani che dessero voce ai miei pensieri attuali.

Ora sei passata definitivamente, o comunque in via prevalente, all’italiano, vero? In fondo tu sei italiana è vivi in Italia...
Sono un’autrice multilingue: questa è la mia identità. È vero che sono italiana e attualmente vivo in Italia: non lo rinnego. Però viviamo in un mondo sempre più globalizzato, in cui le lingue possono creare un legame anche tra paesi e culture molto distanti: in questo senso, purtroppo, l’italiano può costituire un limite, perché non viene compreso in tutto il mondo. Attraverso l’inglese o il francese, invece, puoi arrivare a più persone. Una volta che hai raggiunto un pubblico, poi è più facile (e di fatto mi è accaduto) che conoscano e apprezzino i tuoi brani in italiano. Per questo è importante cercare prima di stabilire un legame.
Ad esempio, la mia canzone in tedesco Herr Mannelig viene ascoltata molto in Turchia. Il brano Luna bianca, invece, piace molto in America, oltre che in Germania (e qui è più naturale, perché da sempre la Germania ama la musica italiana).

Ogni cane ha il suo padrone.
Ecco (ride). Però devo confessare che mentre di solito non decido in anticipo se scrivere una canzone in una lingua o in un’altra, perché viene fuori automaticamente in base al momento, alcuni brani di Pensieri che ho composto durante la pandemia ho voluto fin dall’inizio scriverli in italiano. Anche in questo caso, comunque, vale il principio generale: è stato naturale comporli in italiano, visto che facevano riferimento ad un’esperienza forte che ho vissuto in Italia tra la mia gente.

Come hai vissuto la pandemia?
Abbastanza serenamente: non sono una viveur, non amo in genere la folla e gli assembramenti (ride). Mi piace ovviamente incontrare persone e amici, ma non soffro la solitudine. È stato però un dispiacere vedere la situazione generale in Italia e soprattutto, se mi è permesso, vedere la triste sorte della musica, che in Italia sta morendo. Mancano aiuti economici agli artisti, non si possono esibire e non si vede alcuna via di uscita, una soluzione per rinascere: c’è stato tolto tutto. Ci rimane solo internet, che è una grande opportunità, ma abbiamo perso quella parte vitale costituita dai live. In più, se ne parla veramente poco sui media. Se ne discute solo tra le persone del settore, che cercano qualche soluzione: come il MEI, alle cui iniziative ho spesso aderito. Ovviamente è lo stesso per i teatri, gli attori, i cinema, i musei e l’arte. Tutti siamo coinvolti.

Pensieri, come detto, accanto ai brani nuovi comprende anche una scelta di canzoni già pubblicate. Queste ultime sono state tutte riarrangiate?
I brani già editi sono stati tutti rimasterizzati e in alcuni casi riarrangiati, come ad esempio Luna bianca, che viene riproposta in una versione più lunga: ho infatti aggiunto un piccolo pezzo strumentale nel brano.

Le canzoni nuove in che periodo di tempo sono state composte? Le hai composte tutte assieme in vista del nuovo album o sono anch’esse il frutto di un lavoro protratto nel tempo?
Sono state quasi tutte scritte recentemente, a parte Un bacio ancora e poi e Che cosa è il cielo, che è un brano che ho scritto nel 2014 nello stesso periodo di Un giorno di maggio e affronta delle tematiche simili: l’adolescenza, il cambiamento e la scoperta di nuove sensazioni e sentimenti.
Il mare la sera l’ho composta nel 2018 in occasione di una serata che celebrava il ventennale del Biella Festival: vi partecipavano gli artisti che negli anni avevano vinto un’edizione e potevano scegliere di esibirsi con un loro inedito, come io ho fatto. L’unica legge che non so è nata nel 2019 dalla collaborazione con l’autrice Gabriella Baroni.
Durante la pandemia, invece, ho scritto Pensieri, Rumore del tempo e Parlami se vuoi. Sono molto intime e rappresentano i dubbi che avevo in quel momento e che immagino abbiano avuto parecchie persone in quel periodo. La solitudine ti porta a riflettere sulle scelte fatte e sulle aspettative future e i testi parlano di questo.

Tu dici che le tue canzoni sono molto personali e in effetti spesso parli in prima persona A volte, però, sono sicuramente altri a parlare, come il ragazzo di Un giorno di maggio. È dedicata a Giancarlo: è lui il protagonista?
Un giorno di maggio è una canzone a cui sono molto legata. L’ho scritta per Giancarlo De Nicolò - prete salesiano che da sempre si occupa dei giovani, una persona splendida - ed è diventata la colonna sonora del loro sito. Racconta del viaggio sia fisico che metaforico che tutti noi affrontiamo nella nostra vita, che può lasciarci bei ricordi ma anche molte ferite.

L’adolescenza è un tema ricorrente delle tue canzoni. Anche in Che cosa è il cielo il protagonista è un ragazzo, che di sé dice “poco so e poco ho visto / eppure no, non è vero che non so che cosa è il cielo”. Mi ricorda Dei andavamo un tempo, la poesia di Hölderlin: Compresi il silenzio del cielo / le parole degli uomini non le ho comprese mai”. La conosci?
Conosco Hölderlin, ma non questa poesia in particolare. Non solo da adolescenti, ma anche da adulti non sappiamo mai abbastanza e abbiamo visto troppo poco.

Il ragazzo della canzone ammette di non essere esperto del mondo, però rivendica di sapere cosa sia un cielo dove volare, un mare aperto in cui affondare.
Molti sottovalutano cosa si scatena nel profondo di ogni ragazzo che sta diventando adulto. L’adolescenza è un mondo molto complicato, fatto di sogni, forti sentimenti e delusioni: si inizia a vivere intensamente le proprie emozioni, in modo più cosciente. Mi è capitato di doverlo affrontare, oltre che ovviamente in prima persona, anche in veste di insegnante. I ragazzi vanno ascoltati e aiutati in questo difficile periodo della loro vita e non vanno sminuiti i loro sentimenti, o le situazioni in cui si vengono a trovare.

La canzone Pensieri che dà il titolo all’album è molto evocativa. Stai parlando con un’altra persona o con te stessa?
In questa canzone descrivo appunto i miei pensieri e in particolare i frammenti di un passato che non torneranno più.

Nelle tue canzoni il rimpianto è molto presente, ad esempio in Fiore di rosa. Sei una persona nostalgica?
Fiore di rosa è il simbolo di qualcosa di perduto: può essere l’innocenza o un periodo della vita che si è concluso, come l’infanzia o l’adolescenza. Ammetto di essere spesso nostalgica, ma devo dirti che considero la malinconia come qualcosa di positivo.

In Briciola di polvere addirittura invochi la malinconia, come se fosse qualcosa di positivo.
La malinconia ci permette di conoscerci meglio: ci spinge infatti ad analizzare i nostri sentimenti e aspirazioni, rievocando esperienze fatte e speranze deluse. Il mio amore, chiamiamolo così, per la malinconia deriva anche dall’amore per la poesia e per alcuni autori che mi hanno sempre affascinato: Baudelaire e Rilke, innanzitutto, ma anche Camus, Sarte, Pirandello e Oscar Wilde.

In Rumore del tempo dici: “Sarebbe bello restare in silenzio / un po’ senza pensieri / senza desideri / e all’improvviso scoprire una parte di sé /che mai pensavo esistesse /tornare a sentire / il rumore del tempo”. 
Il silenzio è sempre molto sottovalutato. Siamo abituati a vivere nel chiasso, senza pensare troppo, assillati da tante (troppe) distrazioni. Riscoprire il silenzio e imparare a stare un po' da soli con noi stessi serve ad accorgerci di quanto sia importante il tempo. La canzone parla appunto dell’importanza di apprezzare la vita in ogni momento, giorno per giorno, senza farsi schiacciare dal peso del passato o dai timori per il futuro. Potremmo così anche riscoprire delle passioni che magari abbiamo messo da parte negli anni a causa degli impegni o del lavoro: in questo, l’arte, e nel mio caso la musica, è di grande aiuto.

Alla fine della canzone però dici che quel treno è andato perso.
Credo che tutti abbiamo perso un treno. Può essere qualcosa che rimpiangiamo di avere o di non avere fatto a suo tempo: una decisione non presa, una storia non iniziata, un corso di studi. Io però non rinnego mai nulla del mio percorso, perché è quello che poi mi ha portato a dove mi trovo ora.
Una canzone gemella di Rumore del tempo è Parlerò se vuoi, che fa riferimento alla necessità di imparare ad ascoltare: tante volte quando si conversa non prestiamo attenzione alle parole dell’interlocutore, ma vogliamo solo sentire la nostra voce.

Una volta mi hai detto scherzando che protagonisti delle tue canzoni sono la Luna e i gatti. Di felini parliamo in un prossimo incontro, perché il discorso sarebbe troppo lungo: concentriamoci sulla luna.
In ogni album ho inserito una canzone che cita la Luna: in Pensieri, ad esempio, c’è Luna bianca. Non saprei dirti di preciso il motivo, ma sono sicura che potrei stare ore ad osservare un cielo stellato con la Luna che si si specchia nel mare. La sento come una presenza benefica, che dall’alto ci illumina e ci fa sentire meno soli.

Per concludere, parliamo un po’ della tua collaborazione con Gabriella Baroni. Già nel tuo secondo disco, Looking for truth, avevi duettato con Fabrian Goroncy in Little love e con Shani Ormiston in Quando fuori piove, ma non si trattava di una collaborazione autoriale. Credo sia la prima volta che pubblichi un brano in cui hai collaborato anche nella composizione.
Avevo incontrato Gabriella diversi anni fa in occasione del concorso Bianca d’Aponte ad Aversa e siamo sempre rimaste in contatto. È un’autrice di grande sensibilità e quando mi ha proposto di musicare un suo testo, in modo da poterlo presentare al CET di Mogol, ho accettato con piacere. In realtà mi era già capitato in passato di scrivere per altri, ma è la prima volta che decido di pubblicare in un mio album un brano nato da una collaborazione. L’ho fatto perché a mio parere è un brano molto intenso con un testo profondo.
A proposito di duetti, tra non molto pubblicherò quello registrato con un bravissimo cantante italiano: Andrea Devis, caro amico e sensibile artista.

Margherita Pirri

TEMI: Musica
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