Le deboli: storia di un riscatto

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Le deboli: storia di un riscatto

| Giuseppe Di Matteo

Flora Fusarelli esordisce nel panorama letterario italiano con una vicenda familiare ambientata nell'Abruzzo degli anni Quaranta che ingloba tre generazioni.

Un esordio letterario scintillante. E sorprendente. Perché Le deboli di Flora Fusarelli, appena sfornato da 4Punte edizioni (124 pag., 12,90 euro), è uno di quei romanzi capaci fin da subito di stabilire una "connessione sentimentale", per utilizzare una celebre definizione gramsciana, tra chi scrive e chi legge. E lo fa raccontando senza eccessivi orpelli, ma con elegante sobrietà, la storia struggente di tre donne (nonna, madre e figlia) in un paesino dell'entroterra abruzzese calpestato dalla povertà e dal Fascismo più tetro e becero: quello della guerra e della distruzione, triste meta delle sue folli e vane pretese di grandezza.

Grandi, invece, sono Marietta, Vincenza e Annuccia, le protagoniste del romanzo in ordine anagrafico, apparentemente deboli perché costrette a sopportare supplizi e angherie in una società patriarcale e zeppa di atavici soprusi. Marietta tiene le redini della famiglia spaccandosi ogni giorno la schiena in un forno; Vincenza si arrangia come può per permettere alla sua bambina di studiare. Ma è soprattutto Annuccia, con la sua curiosità vivace (e vorace), a saltare lo steccato degli schemi culturali stabiliti dagli avi e a restituire un po' di speranza a un ambiente irrimediabilmente appassito: 

«Maestro, ma vermiglio che vuol dire?».
«È rosso, Anna».
«Ma il rosso si chiama rosso».
«È un tipo di rosso».
«Un tipo come?».
«Basta, Anna. È rosso e basta».

Alla sua gioia di vivere fa da contraltare la malinconia di Vincenza e Marietta - schiacciate dal volere di uomini che, invece, appaiono tremendamente deboli proprio nel momento in cui esercitano la loro forza bruta - ma mai davvero rassegnate a subire. A dimostrarlo è la piega che prendono gli eventi: Vincenza è sposata con Nino, nullafacente e ubriacone, perché così ha stabilito suo padre, ma ama da sempre sor Luigi, a sua volta imprigionato in un matrimonio combinato con Carilde, dama benestante che si accontenta unicamente delle apparenze. Annuccia è stata promessa da Nino a Minicuccio, il bulletto fascista del paese, che si rifugia nello studio per mascherare la sua viltà. Per evitare che anche Annuccia cada nella ragnatela di maschere pirandelliane e sentimenti imposti con la forza, che nel borgo sono legge, Vincenza, sostenuta da sua madre Marietta, decide di dare un calcio alle convenzioni e di regalare un destino diverso a sua figlia, incoraggiando la sua storia d'amore con il macellaio Lino. È questo il punto di non ritorno che provoca l'inevitabile accelerazione dell'intreccio. Ciascuna delle tre donne dovrà infatti fare i conti non solo con le proprie "trasgressioni" morali ma anche con un passato che torna prepotentemente e trascina con sé anche chi non immaginava di farne parte. A dominare, però, è il coraggio delle loro azioni.

Altro che deboli, insomma (non a caso il titolo, come ha sottolineato Carlo Vulpio sul Corriere, è usato in senso antifrastico, e cioè vuol significare l'opposto di ciò che dice). I personaggi femminili di Fusarelli sono anzi pervasi da una rabbia quasi felina. Sopportano con dignità il loro supplizio, ma a dispetto delle apparenze non si piegano mai al fatalismo che sembra aleggiare sui tetti del paese. Deboli invece sono gli uomini, Nino in primis ma soprattutto Minicuccio, triste allegoria della dittatura e dei suoi proclami di cartapesta, che gioca con il destino delle sue prede per puro diletto.

Per nulla debole è la scrittura: spartana efficace e orgogliosamente refrattaria a certi barocchismi, si rivela con delicatezza e, con fare quasi fiabesco, illumina gli angoli più bui di una famiglia (e di un territorio) che all'antica miseria dei montanari aggiunge la povertà morale del regime e della guerra.

Il romanzo di Fusarelli è da leggere e da apprezzare, senza dubbio. Ed è una creatura ibrida, che ondeggia tra Verga e Silone. Ma, più che lo stile, di quei maestri l'autrice ha ripreso soprattutto lo spirito del tempo e dei luoghi. La teoria dell'ostrica è un velo onnipresente sul destino dei personaggi. E le ingiustizie, siano esse sociali o domestiche, sono vissute «alla stregua di eventi naturali», come scrive Paolo Franchi nell'introduzione a una bella edizione di Fontamara di qualche anno fa. I "cafoni" di Fusarelli, come accade in Silone, subiscono perché non sono in grado di capire. Ma a differenza di Berardo Viola, l'anti-eroe che cova la scintilla della ribellione e si sacrifica in nome di una causa collettiva, Annuccia sceglie, con il contribuito fondamentale di Vincenzina, di non consegnare la sua vita all'altrui arbitrio e di inseguire la felicità. Ed è comprensibile, anche se non scontato, nel mondo di allora: i padri di famiglia infatti pensano solo alla religione della roba, come in Mastro-don Gesualdo e nei Malavoglia, perché «per loro la felicità era il pane sotto i denti». Il pane delle deboli è invece un orizzonte che si intravede oltre le colonne d'Ercole della perpetua rassegnazione. E si chiama riscatto. 

Le deboli

di Flora Fusarelli
4Punte Edizioni - 2021

 

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