Il mistero non va in vacanza

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Il mistero non va in vacanza

| Paola Rocco

In un quartiere come questo non è mai una buona idea ammettere le proprie colpe

I buoni vicini, ovvero l'oscurità che si annida nelle graziose casette della provincia americana, con le tendine alle finestre e i prati falciati di fresco. Opera quarta dell'autrice Sarah Langan (e prima tradotta in Italia per i tipi della SEM), si svolge a Maple Street, quartiere da cartolina alla periferia di Long Island, e a dibattersi tra cortesie di facciata e striscianti rivalità sono appunto i buoni vicini che danno il titolo al libro. Tra gli altri, i nuovi arrivati, i Wilde: Arlo, ex stella del rock riciclatosi come rappresentante di strumenti informatici, sua moglie Gertie, ex reginetta di bellezza brutalizzata dalla matrigna alcolizzata, e i loro due figli, Julia, dodici anni, e Larry, otto, entrambi faticosamente intenti a farsi nuovi amici nel nuovo quartiere. E ci sono poi gli ormai alquanto acclimatati Schroeder: il taciturno Fritz e sua moglie Rhea, l'ape regina, titolare di cattedra nella locale università, con i loro tre figli (FJ, diciannove anni, Shelly, tredici, ed Ella, nove). E molti altri ancora: i Ponti, i Walsh, gli Ottomanelli, i Muller, i Grady...

Tutti raccolti a semicerchio nelle loro belle case, disposte a mezzaluna intorno al prato di oltre due ettari incastonato come un gioiello al centro di Maple Street e, all'occasione, teatro di feste all'aperto con barbecue incorporato, dove scambiarsi notizie e confidenze da buoni vicini, appunto, mentre i figli giocano al sole...

Impostato per così dire a ritroso - la narrazione, ambientata in un immaginario futuro, parte dal 4 luglio 2027 ma è intervallata da articoli e resoconti giornalistici di almeno dieci anni dopo, che ripercorrono le vicende di quell'estate dal punto di vista di alcuni dei sopravvissuti - il libro della Langan comincia appunto da una bella festa, una festa d'estate organizzata un po' da tutti i simpatici abitanti di Maple Street. E alla quale, inspiegabilmente, sembrano non esser stati invitati solo i Wilde: che nel frattempo non sono stati con le mani in mano e hanno fatto amicizia un po' con tutti, o così credono (Gertie, in particolare, ha condiviso lunghe confidenze da donna a donna in veranda con Rhea, all'inizio apparentemente animata da un sentimento protettivo verso la nuova arrivata, la sempliciotta, la bellissima disadattata).

Una dimenticanza, forse, che assume però i colori dello sgarbo, della vera e propria esclusione volontaria, visto che gli allegri gruppi di amici carichi di bottiglie di birra gelata e panini imbottiti sfilano, inevitabilmente, davanti al 116 di Maple Street per raggiungere il prato: ovvero proprio davanti alla finestra dove nel frattempo, incuriositi dal vociare e dall'odore di cibo, tutti e quattro i Wilde si sono affacciati per vedere cosa sta succedendo...

Apertamente affrontata da Gertie - che, armata solo di un sacchetto di patatine Ruffles già aperto, ha comunque deciso di unirsi alla festa con marito e figli, accreditando senz'altro a una svista il mancato invito - pur con qualche iniziale scricchiolio la situazione sembra ben presto rimodularsi in chiave di serena e distratta quotidianità: “Ben presto la prima birra o il primo bicchiere di vino fecero effetto e tutti ridevano, battevano le mani e raccontavano qualche storiella di lavoro...”.

Ma quando, ancora, la troppo scollata e provocante Gertie chiede spiegazioni (“Non siamo stati invitati, ma si è trattato di una svista, vero?”) a una glaciale Rhea, è quest'ultima a dissolvere ogni dubbio (“Una svista? Assolutamente no!”), per poi allontanarsi senza aggiungere altro in un frusciare di lino bianco, su tacchi alti quel tanto che bastava per non macchiare d'erba l'orlo dei pantaloni.

Ed è a questo punto che accade l'impensabile: il prato color smeraldo coperto di tavoli pieghevoli e tovaglie da picnic comincia a vibrare (“la terra tremò... Gertie sentì le vibrazioni salirle dai piedi fino ai denti”) e una gigantesca voragine si allarga inesorabile inghiottendo ogni cosa (“Quella buca sembrava affamata. Il tavolo da picnic e gli hamburger ci caddero dentro. Poi toccò al barbecue”).

Frettolosamente e incautamente coperta solo da una sottile piattaforma di legno, la dolina di Maple Street diventa a poco a poco una presenza fissa nell'immaginario degli abitanti: che scelgono, alternativamente, d'ignorarla (sebbene non sia facile, con quel liquame brunastro e maleodorante che fuoriesce incessante dai bordi, impregnando pian piano tutto il quartiere), di andarsene in vacanza o di restare a vedere che succede; senza troppa ansia, però. Finché, complice l'atmosfera di crudele rivalità sorta all'improvviso e senza apparenti motivi tra le famiglie, una delle adolescenti di casa, la tredicenne Shelly Schroeder, non sfida l'ex amica Julia Wilde a saltare sulla piattaforma...

Definito dal New York Times “un romanzo suburbano sulle amicizie: profonde, superficiali, tossiche, autentiche, spesso assolutamente imprevedibili”, I buoni vicini è un libro dal ritmo teso e  dal respiro cupo, in cui gli eventi - opportunamente favoriti dall'oscurità e dal non detto che serpeggiano subito sotto lo smalto duro e brillante della superficie, un po' come la buia voragine della dolina ingloba il bel prato verde smeraldo - precipitano verso la tragedia con burocratica precisione (quelle vittime eliminate l'una dopo l'altra...).

I Buoni Vicini

I buoni vicini

 di Sarah Langan
SEM (2021)

 

Lo yoga e la meditazione non possono nulla contro una coscienza sporca” 

Ancora su un tranquillo sfondo di provincia, e di nuovo per così dire a ritroso la storia raccontata anche da Lisa Scottoline (già presidentessa della Mystery Writers of America) in Someone Knows, tradotto in italiano con Qualcuno conosce la verità e pubblicato per noi da TimeCrime. Anche in questo caso il punto di partenza è un evento traumatico che vent'anni prima ha visto protagonisti un gruppo di amici appena usciti dall'infanzia: tutti cresciuti a Brandywine Hunt, zona residenziale per americani ricchi - o presunti tali - nella boscosa contea di Chester, Pennsylvania. “In altre parole, in un luogo perfettamente civilizzato, dove persino la Natura è addomesticata e non succede mai niente”.

È qui che, sebbene non proprio di proposito, la goffa Allie (“una sorella minore permanente”), la principessa Sasha (“una delle ragazze più popolari della scuola”), il gentile David (“un ragazzo dall'aria sognante... Aveva un bel modo di fare, da vero galantuomo”) e l'ambiguo Julian (che di solito conclude le sue giornate spiando Sasha che si fa la doccia nella casa di fronte) causano, a un certo punto della loro adolescenza solo apparentemente dorata, la morte di qualcuno. Tra parentesi l'adolescenza, si sa, è un periodo complicato, ma qui a ingarbugliare ulteriormente la situazione s'innestano malattie incurabili di amatissime sorelle, depressioni paterne e materne, crisi economiche, deficit finanziari, divorzi burrascosi e ex mariti pedofili, in un impasto dal sapore a volte davvero un po' troppo carico.

Correndo via subito dopo e per sempre da quanto è accaduto - un omicidio, senz'altro, ma un omicidio dai contorni incerti, di cui è quasi impossibile ricostruire con precisione la dinamica e che di fatto la polizia interpreterà come un suicidio - Allie, Sasha, David e Julian tentano, comunque, di ricostruire altrove le proprie esistenze; e in parte sembra ci riescano (chi più chi meno, ovviamente, a seconda della predisposizione individuale alla rimozione). Finché, vent'anni dopo, uno di loro non si spara un colpo di pistola alla testa: costringendo i tre sopravvissuti a far ritorno sul luogo del delitto e aprendo la strada a rivelazioni, colpi di scena e ricordi sepolti.

Fino all'imprevedibile finale: giocato, appunto, sull'improvviso affiorare di un ricordo fino a quel momento troppo doloroso per essere portato alla luce e cruciale nel percorso di recupero di almeno uno dei protagonisti (da subito il meno incline a lasciar dormire lo scheletro nell'armadio).

Romanzo per così dire di formazione, dunque, Someone Knows, o meglio romanzo su quanto qualsiasi formazione risulti a volte inadeguata alla prova dei fatti: perché, come sottolinea il prologo, “qualche giorno dopo, anni dopo, dieci anni dopo, il fatto è ancora talmente indicibile da non riuscire a farne parola con nessuno, e tutti i libri che avete letto e dai quali avreste dovuto imparare qualcosa - Il signore delle mosche, Pace separata, Delitto e castigo - non vi hanno insegnato proprio niente. Siete lettori accaniti, eppure non imparate nulla dai libri. Non li applicate mai alla vostra vita, perché sono finzione, e anche quando sembrano reali riguardano la vita di qualcun altro, non la vostra, solo che voi e i vostri amici avete deciso di fare uno scherzo e qualcuno si è fatto saltare il cervello davanti ai vostri occhi”.

Qualcuno conosce la verità

 Qualcuno conosce la verità

di Lisa Scottoline
TimeCrime (2021) 

 

Ecco, il rapporto con Dio è come con tutti gli altri uomini della mia vita: complicato” 

Un pezzo di terra desolato nell'angolo più remoto dello Utah costituisce invece la cornice, stavolta apertamente isolata e alienante - ma in fondo anche le belle case in vetrina di Maple Street o le colline ben pettinate di Brandywine Hunt non scherzano - de Le tre vedove, esordio nel crime per l'autrice Cate Quinn dopo i suoi classici romanzi storici (pubblicato per noi da Einaudi Stile Libero). È qui, sotto il sole del deserto, che vivono il capofamiglia Blake Nelson, cresciuto nella Chiesa dei Santi dell'Ultimo Giorno, un mormone che non ha mai accettato il divieto di poligamia, e le sue tre mogli: appunto le tre vedove del titolo, visto che in apertura di sipario Nelson viene trovato cadavere vicino al fiume. Anche qui si procede a tratti all'indietro, col diario delle mogli e i continui flashback delle rispettive esistenze prima e dopo il matrimonio.

Nell'ordine, la prima moglie Rachel, che dietro il suo aspetto ordinato e canonico (quei capelli pettinati alti sulla fronte da vera sposa mormone) cela un passato traumatico e che ha sposato Blake una decina d'anni prima, trasferendosi con lui nel ranch: “Una vecchia tenuta di pochi ettari, che negli anni Cinquanta ospitava una mandria di vacche”, scelta di proposito dall'uomo perché “qui puoi essere te stesso. La legge non può darti fastidio. Non ci sono altro che montagne, sabbia e cielo per centocinquanta chilometri in ogni direzione”. E abbandonandosi al confezionamento seriale di cibo in scatola, ancora una volta in linea coi precetti della comunità (che prevedono l'accumulo costante di scorte alimentari, in previsione di un'ideale autosufficienza da conseguire prima del Giorno del Giudizio): “Sono al ranch quando arrivano gli agenti. Ho preparato i barattoli, lavati e puliti, e li sto riempendo di patate salate a pezzi. Quest'anno abbiamo avuto molta pioggia, il raccolto è stato più abbondante del solito e c'è parecchia roba da mettere in conserva. È una routine che ha il potere di calmarmi...”.

Poi c'è Emily, la sposa bambina, sommessa e un po' inquietante nella sua accentuata naïveté, talmente candida da non avere idea di cosa facciano marito e moglie in camera da letto fino alla perturbante esperienza con Blake: “Appena sposata avevo provato a chiamare mia madre, ma lei aveva riattaccato non appena sentita la mia voce. Era stato subito dopo la prima notte di nozze. Mi vengono i brividi a pensarci. Non ridete, ma a diciannove anni, lo giuro su Dio, non avevo idea di cosa facessero mariti e mogli in camera da letto. E quando lo scoprii fu un bello shock, sul serio”. E per terza Tina, la ribelle dal passato turbolento, droga e prostituzione per le strade di Las Vegas, che nel pur insolito ménageoffertole da Nelson ha visto forse la possibilità di sperimentare per la prima volta un'esistenza domestica: “Ho ancora un bel corpo, nonostante tutte le droghe che ho preso. Sono stata fortunata, immagino. Mia madre era uguale. Vita stretta e terza di reggiseno fin dopo i quaranta. Poi la faccia cominciò a cadere, ma zigomi alti e grandi occhi castani tengono botta a lungo. Noi abbiamo sangue indiano, mi ripeteva sempre. Oltre a sangue di tanti altri tipi, perché mio padre era un poco di buono che veniva dal lato opposto del confine...”.

Più o meno spensieratamente installate dal carismatico consorte nella casetta in mezzo al nulla, con la sola compagnia delle conserve di Rachel e di un tappeto tessuto a mano (ancora Rachel), le tre mogli daranno dunque il via a una (prevedibilmente) accidentata coesistenza: resa ancor più aspra dalle periodiche intromissioni della signora Nelson, la madre di Blake - che non ha mai perdonato al figlio la scelta poligamica - e dalle oscure manovre dello stesso Blake. Che, poco prima d'essere trovato riverso nel fango, sembra aver avviato di nascosto le pratiche per un quarto matrimonio e, al contempo, l'acquisto di un misterioso terreno, un tempo sede di una setta...

Romanzo dal ritmo frenetico (l'incursione di Rachel e Tina nel blindatissimo tempio mormone ha un respiro quasi cinematografico), Le tre vedove affronta “temi fondamentali quali la violenza domestica, la poligamia e le sette religiose” (New York Times Book Review) ma ancora una volta e in primo luogo è la storia di un'amicizia: tutta al femminile e - malgrado le asperità caratteriali e le profonde diversità - per una volta salvifica (“È come se fossimo diventate tutte un metro più alte...”).

Le tre vedove 

Le tre vedove

di Cate Quinn
Einaudi (2021)

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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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