Vite che sono la tua

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Vite che sono la tua

| Paola Rocco

Le avventure di Tom Sawyer, Jane Eyre, Il giovane Holden: come la letteratura può aiutare a decifrare la vita

Vertigini. “I pregiudizi ricevevano colpi quasi mortali. Lo spazio davanti agli occhi si allargava incredibilmente, caricandosi di possibilità. Questo, è stato leggere. Questo è. Fare entrare nella propria vita molte più persone di quelle che davvero riusciamo a incontrare per strada. Intrattenersi con bambini, adolescenti, adulti, vecchi, animali, con il mistero di ciascun vivente. E con il mistero delle cose, anche. Lasciarsi toccare da ogni esperienza, lasciarla depositare in noi. Avere quasi sempre le vertigini, per come si spalanca - leggendo - non solo lo spazio, ma il tempo”.

Stupori. “Gattacci morti, verruche, acqua piovana raccolta nei ceppi, fagioli, diavoli che non vanno in giro di domenica, topi morti da legare a uno spago per farli girare sopra la testa, streghe e nascondigli nel cimitero, case infestate dai fantasmi, tesori nascosti da qualche parte, fughe in notti buie e tempestose, medicine scacciadolori”, il catalogo de Le avventure di Tom Sawyer, il celebre romanzo di Mark Twain. “In sostanza, lo stupore di stare al mondo, la meraviglia di essere vivi”.

Marca Due. Samuel Langhorne Clemens, che prima di compiere trent'anni diventa Mark Twain, ovvero Marca Due, “il grido del battelliere che misura la profondità delle acque”. Nato nel 1835 da un padre avvocato che lo lascerà presto orfano, “il poco più che ventenne Clemens... diventa pilota sui battelli del suo Mississippi. Già era stato apprendista tipografo; in seguito, si arruolerà volontario nelle file sudiste della Guerra Civile” e sarà poi minatore, cercatore d'oro, giornalista e “scrittore umorista dai mille eteronimi”. Ormai sessantenne (“un signore con grandi baffi a manubrio e capelli bianchi”) e in pessime condizioni economiche per un investimento sbagliato su una macchina tipografica “rivoluzionaria”, sale su un piroscafo seguendo l'Equatore (“un nastro blu teso sull'oceano”) e sostando qua e là nelle terre dell'Impero Britannico come conferenziere.

The Mark Twain Club. Il Mark Twain Club, fondato in onore dello scrittore presso il castello di Corrigan, Irlanda, con tanto di distintivo; e ci sono poi “i trentadue membri, le relazioni, la fitta corrispondenza”. Twain se ne stancherà quasi subito (“Me la cavai passabilmente per il primo anno; ma per i successivi quattro il Mark Twain Club fu la mia maledizione, il mio incubo...”), arrivando a dar fuoco ai “grossi plichi del segretario” appena gli venivano recapitati (“E di lì a poco smisero di arrivare”). Durante un viaggio in Australia, però, lo scrittore scoprirà quasi per caso che il Mark Twain Club non è mai esistito, e con lui i trentadue membri e il castello di Corrigan: “Un'unica persona - che lui chiama signor Incognito - aveva inventato tutto”. Si era trattato, dirà Twain, del “più ingenuo e laborioso e allegro e accurato scherzo di cui fossi mai stato testimone. E mi piaceva; mi piaceva stare a sentirlo mentre lo raccontava; anche se odio gli scherzi dacché sono al mondo”.

Aggettivi. Charles Dickens, ovvero “uno scrittore diventato un aggettivo. È l'unica, vera grande prova del tempo. Se uno dice dickensiano, all'istante salta in mente la nebbia, il fumo dei camini, una notte di Natale”.

Sconforto. “Quando Dickens inventa il Natale” ha trentun anni ed è già uno scrittore famoso: non ha ancora scritto Grandi speranze, ma le avventure dei suoi personaggi tengono avvinti migliaia di lettori ai fascicoletti azzurri che raccolgono le uscite a puntate del Circolo Pickwick. Ma nel tardo autunno del 1843 gli affari non vanno granché bene, gli editori “pagano tardi e male” (“I miei libri arricchiscono tutti quelli che hanno un rapporto con essi, tranne me”); e poi Dickens con le sue storie deve dar di che vivere a moglie, cognata e figli (quattro). Così, “spinto dalla misteriosa forza dello sconforto”, si mette a scrivere Canto di Natale, “con una disciplina militaresca. Si alza alle sette, fa un bagno prima di colazione, lavora fino alle tre, esce per prendere una boccata d'aria”; a meno che non piova, perché allora resta allo scrittoio fino all'ora di cena. Scrivendo, si accorge che gli viene da piangere, e “lo giudica un buon segno”.

Ipoteche. Francis Scott Fitzgerald, che in un taccuino, a proposito di sé stesso, annota “ubriaco a vent'anni, rovinato a trenta, morto a quaranta”. Morirà il primo giorno d'inverno del 1940, poco prima di compiere quarantaquattro anni. “La mia vita aveva attinto a risorse che non possedevo, avevo ipotecato me stesso fisicamente e spiritualmente, fino all'osso”.

Assassini. Il giorno in cui spara al cantante, l'assassino di John Lennon si porta dietro Il diario del giovane Holden nascosto in borsa.

Liceali. Nel novembre del '53, due studentesse del locale liceo chiedono a Salinger un'intervista per il giornale della scuola. Lui accetta di buon grado (“Erano state gentili”) ma, quando l'intervista viene venduta a un grande quotidiano, “vive la cosa come un affronto e un tradimento”. Da allora non concederà più interviste e chiuderà le porte della sua casa di Cornish, nel New Hampshire, smettendo, di lì a dieci anni, anche di pubblicare libri e diventando così “un leggendario artista della sparizione”.

Stress. “Quando ho davanti una persona reale, primo: devo impegnarmi un po'. Cioè, se un altro presta attenzione a me, io devo prestare attenzione a lui. Io guardo lui, lui guarda me. Il livello di stress sale” (David Foster Wallace).

Dopo. A Italo Calvino, le risposte più precise e intelligenti venivano sempre in mente “qualche ora dopo aver concluso un'intervista”.

Sempre. “Non preoccuparti, hai sempre scritto e scriverai ancora” (Ernest Hemingway a sé stesso).

Scocciature. “Scrivere mi scoccia. Non mi riesce facile. D'altra parte, credo che quelli a cui riesce facile non valgano molto” (I. Calvino).

Conforto. “Mangia pesce fritto in un posto che pareva uscito da un racconto di Maupassant, scommette sulle corse dei cavalli, conforta Francis Scott Fitzgerald preoccupato dalle dimensioni del suo pene; e sente che in quella povertà e felicità bastano i quaderni con la copertina nera, due matite e l'odore del primo mattino in un caffè. Ernest Hemingway, Festa mobile”.

Magia. “Nei tempi bui, quello che definisce una buona opera d'arte mi sembra che sia la capacità d'individuare e fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità e di magia che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l'oscurità dei tempi. La buona letteratura può avere una visione del mondo cupa quanto vogliamo, ma troverà sempre un modo sia per raffigurare il mondo sia per mettere in luce la possibilità di abitarlo in maniera viva e umana” (David Foster Wallace).

Doni. Un mazzo di rose, due rami di peonie, una piantina, una camicetta azzurra e un diario nuovo “avvolto in una carta che lo fa spiccare”, i doni ricevuti il 12 giugno 1942 dall'appena tredicenne Anne M. Frank.

Divieti. Andare a teatro, al cinema, in piscina, praticare sport all'aperto, uscire per strada dopo le otto di sera, alcuni dei divieti imposti agli ebrei sotto le leggi razziali.

Bivi. La stradicciola per cui se ne torna “bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628”, don Abbondio, ne I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Giungendo infine al punto in cui la strada, dritta per sessanta passi, si divide “in due viottole, a foggia d'un ipsilon”.

Tempeste. MacWhirr, il capitano di Tifone di Joseph Conrad, che mentre si approssima la tempesta legge in un libro il capitolo sulle tempeste ma sa benissimo che “se un uomo dovesse credere a tutto quello che c'è qui dentro, non gli resterebbe che correre su e giù per i mari, nel tentativo di scacciare il cattivo tempo”. Al bando dunque ogni “strategia delle tempeste”, un uragano è un uragano, e un piroscafo “nella pienezza dei suoi mezzi deve affrontarlo. C'è una certa quantità di cattivo tempo in giro per il mondo, e non di più; è giusto passarci attraverso”.

Uragani. “Come si può dire di che stoffa sia fatto un uragano finché non lo si è visto?” (Joseph Conrad, Tifone).

Macchine del Tempo. “Sono sempre stato affascinato dai vecchi. Entravano e uscivano dalla mia vita e io li seguivo, li interrogavo, imparavo da loro, cosa che risulta particolarmente vera in questo romanzo (Addio all'estate) che parla di ragazzi e di vecchi, le nostre speciali Macchine del Tempo. Molte delle mie grandi amicizie sono state con donne e uomini ottantenni, novantenni; sono sempre stato contento di far loro domande e starmene seduto in silenzio, tranquillo, limitandomi a imparare dalle loro risposte” (Ray Bradbury).

Passato. “La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro” (Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira).

Maschi. Smettere di raccontar barzellette, dedicarsi a buone letture, far ginnastica, cavalcare, entrare in ufficio alle otto, alcuni dei buoni propositi maturati da Zeno Cosini per rendersi degno della fanciulla amata, ne La coscienza di Zeno: “Era un proposito eroico quello di voler correggersi di ogni difetto per prepararsi a conquistare Ada dopo qualche settimana. Ma intanto? Intanto ch'io mi assoggettavo alla più dura constrizione, si sarebbero tenuti tranquilli gli altri maschi della città e non avrebbero cercato di portarmi via la mia donna? Fra di loro v'era certamente qualcuno che non aveva bisogno di tanto esercizio per essere gradito”.

Femmine. Charlotte Brontë, che pur avendo alle spalle “la tortura di una scuola per figlie di pastori poveri, due proposte di matrimonio rifiutate, un periodo di lavoro come governante” eccetera, scrive e continua a scrivere, spedendo i suoi lavori a case editrici e critici letterari. A vent'anni, uno di loro le risponde: “Non è facile dover scoraggiare le alte speranze e i desideri dei giovani”, scrive il critico, Robert Southey, invitando la Brontë a rinunciare alle sue ambizioni e a tornare ai suoi compiti, spiegandole che “la letteratura non può essere l'occupazione di una donna. C'è da passare lo straccio. Da preparare la lezione di domani. C'è, soprattutto, da pregare”.

Lettere/1. “Charlotte lo ringrazia del consiglio saggio e gentile”, confessando d'aver sentito “un doloroso calore salirle al volto “ al pensiero della dozzina di fogli che aveva ricoperto “con quel che soleva darle tanta soddisfazione”. Assicura Southey che la propria esistenza non è affatto distante dai doveri reali, informandolo che lei fa l'insegnante e non ha l'abitudine di annoiare nessuno con i suoi pensieri (“Temo che mi consideri una sciocca”). Cercherò di reprimermi, conclude, promettendogli di non aspirare mai più a vedere il suo nome in caratteri di stampa (“Se il desiderio dovesse nascere, guarderò la sua lettera per sopprimerlo”) e confermandogli che “la firma, che sospettava fosse falsa, è proprio la mia”. Firmandosi infine: Charlotte Brontë.

Firme. Dieci anni dopo questa lettera, nel 1847, Charlotte pubblicherà il romanzo Jane Eyrefirmandolo con un nome maschile, Currer Bell. “Anche al momento della seconda edizione, usa il profilo di Currer per difendere non tanto sé stessa, quanto Jane, da accuse moralistiche e bigotte. L'apparenza - scrive - non va scambiata per la verità”.

Lettere/2. Un anno dopo la pubblicazione di Jane Eyre, la Brontë parte per Londra, con l'intento di render nota la sua reale identità. “E quando Charlotte rimette nelle mani di tale signor Smith una lettera da lui indirizzata a Currer Bell, si sente chiedere con severità: Dove l'ha presa?”. “Ho riso dinanzi alla sua perplessità: era necessario un segno di riconoscimento. Gli ho detto il mio vero nome: Charlotte Brontë”. 

Postini. Si può amare qualcuno, sostiene Truman Capote, “senza che le cose debbano necessariamente andare nel solito modo”: “Perché ero sicuramente innamorato di lei (Holly Golightly, la protagonista di Colazione da Tiffany, ndr). Proprio come un tempo ero innamorato dell'anziana cuoca di colore di mia madre, di un postino che mi permetteva di seguirlo nel suo giro e di un'intera famiglia di nome McKendrick. Anche questo tipo di amore è causa di gelosia”.

Lettere/3. Il cestino della carta straccia a casa di Holly Golightly, con le striscioline di lettere degli ammiratori: “Ricordo e mi manchi e pioggia e ti prego di scrivere e dannazione e porco mondo erano le parole che ricorrevano più spesso nelle striscioline; queste, e mi sento solo e ti amo”. 

Biglietti. La sigaretta intatta e il mozzicone che qualcuno lascia spesso sulla tomba dello scrittore Beppe Fenoglio. Una volta, accanto alla sigaretta c'era un biglietto: “Io non fumo più, ma avevo voglia di fumarne una con te”.

[Notizie tratte da “Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie”, di Paolo Di Paolo].

 

Vite che sono la tua. Il bello dei romanzi in 27 storie

 di Paolo Di Paolo
Editori Laterza – 2017  

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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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