Una svedese in guerra

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Una svedese in guerra

| Flora Fusarelli

L’Agnese va a morire è la prima opera letteraria sulla resistenza che ha come protagonista una donna. Renata Viganò, l’autrice del romanzo, classe 1900 e partigiana della resistenza italiana, lo pubblicò con Einaudi nel 1949, non immaginando di certo che l’opera avrebbe vinto, nello stesso anno, il secondo premio al Viareggio e che sarebbe stata tradotta in ben quattordici lingue.
Scritto con un linguaggio quasi giornalistico e al contempo pieno di pathos, narra la storia di Agnese e di suo marito Palita che, seppur malato sin da bambino e impossibilitato a lavoro, è un uomo politicamente impegnato. Proprio per i suoi rapporti con i partigiani, Palita viene catturato e, privo delle cure necessarie, muore durante il viaggio di deportazione. Rimasta sola, Agnese gode dell’unica compagnia della gatta di suo marito che viene però uccisa, per sadico divertimento, da un nazista che Agnese, in un impeto di rabbia, uccide colpendolo con il suo stesso fucile. A quel punto la donna è costretta a scappare e a rifugiarsi presso una famiglia di partigiani, da dove inizia la sua nuova vita di «staffetta».
Nel 1976, ventisette anni dopo l’uscita del libro della Viganò, Giuliano Montaldo, regista impegnato (Sacco e Vanzetti 1971, Giordano Bruno 1973, Gli occhiali d’oro 1978 e tanti altri), ne trae film che è ormai un classico e oggi, a quarantotto anni dall’uscita del film, Massimo Recchioni ripercorre nel suo libro Una svedese in guerra la storia della realizzazione di quella pellicola.
La prefazione è del regista stesso, Giuliano Montaldo, entusiasta sostenitore della pubblicazione del libro di Recchioni.

La locandina del film di Giuliano Montaldo del 1976

La locandina del film di Giuliano Montaldo del 1976

Massimo Recchioni (Roma, 1959) si occupa da anni della Memoria storica della Resistenza. Ha pubblicato una serie di saggi con Derive Approdi e altri con Milieu Edizioni vincendo una serie di premi e collaborando a vari documentari sulla lotta partigiana.
Il libro, pubblicato da Solfanelli, è suddiviso in sei capitoli con un’appendice finale dedicata a Ennio Morricone – autore delle musiche del film, scomparso poco prima della pubblicazione del libro – e un inserto iconografico che i illustra alcuni momenti della lavorazione filmica.

Massimo Recchioni con il regista Giuliano Montaldo

Massimo Recchioni con il regista Giuliano Montaldo

L’autore racconta del viaggio, fatto insieme a Montaldo e a sua moglie Vera Pescarolo, da Roma fino ad Alfonsine e alle Valli di Comacchio, per recarsi in quelli che furono i set del film L’Agnese va a morire, approfittando dell’occasione per parlare del cinema Neorealista – e dei motivi politici per cui quel periodo ebbe fine – e della carriera cinematografica del regista. Solo dopo si entra nel vivo della storia, grazie alle parole di coloro che vissero quell’esperienza di persona. Tra gli attori che attraverso la penna di Recchioni – nel caso essi siano scomparsi, attraverso testimonianze indirette – ci narrano la propria esperienza sul set ci sono Rosalino Cellamare (Ron), Ninetto Davoli, Alfredo Pea, Stefano Satta Flores e Michele Placido, nonché la protagonista assoluta Ingrid Thulin che nel film interpretò Agnese.
In più ci sono i contributi dell’ex sindaco di Alfonsine, di «Minny» (partigiana locale) e di Marina Guerra (fotografa sul set).

Massimo Recchioni con Ninetto Davoli

Massimo Recchioni con Ninetto Davoli

Attraverso il racconto e per mezzo delle testimonianze dirette dei protagonisti, Massimo Recchioni ci riporta indietro nel tempo con nostalgica maestria e ci fa rivivere le atmosfere (le fa rivivere in primis a un commosso Giuliano Montaldo), i paesaggi, il sentire e le tradizioni di un’epoca lontana la cui storia si intreccia indissolubilmente con la storia dei nostri giorni.
Un importante documento che ci mostra come veniva realizzato un film in un’epoca in cui i mezzi erano limitati e assai diversi da quelli attuali e la cooperazione della «gente comune» era un imprescindibile valore aggiunto. Per questo abbiamo voluto saperne di più, avvicinando l’autore e rivolgendogli alcune domande. 

Chi è Massimo Recchioni?
Massimo Recchioni è una persona cui piace cantare; cui piacerebbe cantare nei cori. La storia di questo Paese, però, viene ormai raccontata in modo così strambo e scorretto – e non a caso – che mi ritrovo mio malgrado, quasi con rabbia e desiderio di giustizia, «fuori dal coro». Ancora oggi, a ottant’anni di distanza, c’è quasi il timore di parlare di Resistenza. Eppure la storia del ventesimo secolo italiano non lascia adito a dubbi: da una parte un re codardo e un dittatore; delatori, bulletti e furbetti quando non squadristi; leggi razziali, sterminio di popolazioni africane e di quelle balcaniche, guerra, campi di concentramento. Dall’altra chi ebbe il coraggio di rischiare la propria vita seguendo ideali di libertà e di democrazia... e c’è chi ha ancora dubbi, o addirittura equipara le due parti come se semplicemente la "pensassero in modo diverso". Io voglio stare dalla parte di chi racconta la storia come realmente fu, non credo si debba aggiungere altro... 

Da cosa nasce l’idea di scrivere questo libro? 
Dopo diversi fortunati saggi su fatti ed episodi della Resistenza, ho avuto la fortuna di conoscere Giuliano Montaldo: un uomo gentile, d’altri tempi, tutto d’un pezzo; ma al contempo di una semplicità e di un’umiltà che non ti aspetti, da uno che vanta Sacco e VanzettiGiordano BrunoMarco Polo e una sfilza di altre opere d’arte.
L’ho conosciuto proprio durante una proiezione de L’Agnese va a morire. Era la seconda volta che vedevo il film, a oltre quarant’anni di distanza dalla prima. Il vedere quel capolavoro, l’accendersi dentro di me di un’idea e il proporla al Maestro – subito entusiasta – è stato un tutt’uno. Di lì a poco tempo eravamo in viaggio sui luoghi della realizzazione del film, i set romagnoli già stupendamente descritti da Renata Viganò nel suo romanzo del 1948. Poi ho cercato Ron, Alfredo Pea, Ninetto Davoli, giovani attori della pellicola del ‘76. Ho trovato in tutti una grandissima disponibilità, come l’ho trovata in tutti gli "amici" romagnoli – a partire dall’Istituto della Resistenza di Ravenna e provincia – che si sono messi a disposizione in modo incondizionato. 

Quanto è attuale il libro della Viganò e, di conseguenza, il film di Montaldo e perché. 
Se mi è consentito, mi viene da citare una parte del mio libro che risponde in modo esaustivo a questa domanda; è una considerazione amara sulla realtà del presente e sul rischio che si corre quando le cose vanno a finire nel dimenticatoio.
«Agnese è ancora lì: come allora giace schiena a terra, accanto alla sua bicicletta, sfregiata dal colpo in pieno volto ricevuto da Kurt, il soldato tedesco che l’aveva riconosciuta. La terra sotto di lei è arida. Aridi e interminabili i viali sterrati e un po’ imbiancati che si aprono, verso ogni punto cardinale, davanti al posto di blocco dove era stata fermata.
Ecco, forse è simile a quella l’immagine simbolica del nostro Paese: un “mucchio di stracci sulla neve”, proprio come di Agnese scrisse Renata Viganò. A terra, senza la minima idea della direzione da intraprendere, quella che ci era stata indicata, alla fine della guerra, da coloro che stavano dalla parte giusta. Con la forza intelligente della ragione che prevale sulla forza brutale, con il coraggio senza il quale non ce l’avrebbero mai fatta. Oggi, a distanza di pochi decenni, quelle strade ormai sono sepolte di neve, la mappa è di nuovo sbiadita, la direzione è ignota, le menti sono confuse e il cammino è in salita.
Agnese ha dunque lottato, rischiato la pelle – e ce l’ha poi lasciata – invano? La risposta la dobbiamo cercare dentro i nostri cuori, ché forse facciamo ancora in tempo a decidere dove andare. Che diavolo!
Mentre noi pensavamo di avere tutto il tempo del mondo, quel tempo è passato invece troppo in fretta. E con esso tutto il resto: non ci siamo accorti di quanto succedeva, intorno a noi, mentre vivevamo anni a dare tutto per scontato. Ci stiamo accorgendo, da un po’, che scontato non era affatto. E Agnese rischia di restare lì per sempre: in terra, nella polvere, a morire di nuovo
». 

Quindi ha ancora senso, oggi, parlare di quel periodo?
Certo, visto che si tratta di storia recentissima: meno di ottant’anni fa il nostro Paese era ancora in una guerra aberrante dove era stato trascinato per stupidità e megalomania! Ottant’anni sono nulla – un battito di ciglia della storia – e tanti bambini di allora ancora sono vivi, ricordano e ci lanciano continuamente dei moniti, avvertendoci di fare attenzione. Abbiamo il dovere morale di seguire i loro consigli, magari con la testa meno impegnata nei social e nell’effimero e più attenta alla realtà di tutti i giorni. Iniziamo allora col ricordarci che siamo nati nella parte «bella» del mondo, e che proprio per questo (provando a calarci nei panni degli altri) la sete di giustizia e la solidarietà nei confronti dei più sfortunati dovrebbero essere la nostra stella polare.

Altre pubblicazioni in programma? 
Chi si ferma è perduto! Ovviamente vado avanti, a raccontare cose mie e a collaborare con altri. Pur se conscio del fatto che ogni mio lavoro rappresenta sole poche gocce d’acqua. Ma il terreno arido di cui sopra può tornare a esser fertile solo con l’acqua: se in tanti facessero come me, prima o poi ricomincerebbe a piovere.

(La foto di copertina è stata scattata sul set de "L'Agnese va a morire")

Una svedese in guerra. La storia de L’Agnese va a morire

di Massimo Recchioni
Solfanelli - 2021

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Flora Fusanelli

Flora Fusarelli

Appassionata di letteratura e autrice di numerose recensioni di libri, si occupa di editoria e ha pubblicato il suo primo romanzo "Le deboli".

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