Juan Martin Guevara

Referenze

Il “Che” mio fratello

| Flora Fusarelli

A cinquant’anni dalla sua morte, Juan Martin Guevara vuole ricordare il fratello maggiore in modo differente dai numerosi libri già in circolazione. Il punto di vista de Il Che mio fratello (Giunti Editore, 269 pagine) non è infatti prettamente politico e il racconto si focalizza più sull’uomo Ernesto Guevara che sul mito El Che.
Veniamo così portati nella sfera intima, sin dall’infanzia, di quella che è diventata un’icona per intere generazioni di combattenti e di resistenti. Un simbolo di ribellione, ma anche di umanità e forza di spirito.
Il libro parte dalla visita di Juan Martin, nel 2014, nel luogo in cui suo fratello è stato fucilato il 9 ottobre del 1967: La Higuera. Un posto diventato meta di continui pellegrinaggi, ma anche mera piazza per il business incontrollato, «boutique a cielo aperto» dei vari gadget del grande mito.
La narrazione riprende poi dal 1959, con il trionfo della rivoluzione cubana, per procedere successivamente con una serie di salti temporali. Le imprese del Che, le sue vittorie e le sue sconfitte politiche e sociali, si alternano a episodi della semplice quotidianità.

Chi era Ernesto Guevara prima di diventare conosciuto in tutto il mondo? Da cosa deriva Che, il suo famoso soprannome? Come è arrivato a maturare la sua coscienza politica e morale?
Per Juan Martin, Ernesto era sicuramente un ragazzo di gran cuore, vivace, curioso e amante della lettura e dello studio:

«Un discepolo di Marx, Engels e Freud ma anche di Jack London e Jorge Luis Borges, di Baudelaire, di León Felipe, Cervantes e Victor Hugo. Conosceva bene le opere di Merleau-Ponty e di Jean-Paul Sartre [...]. Divorava un libro al giorno, approfittando di ogni momento libero per immergersi nella lettura. Aveva una predilezione particolare per il Don Chisciotte, letto sei volte, e per Il Capitale di Marx, che considerava un monumento della coscienza umana».

Molta attenzione viene data al rapporto del Che con i genitori, considerati in parte gli artefici di quello che era il suo temperamento fiero e ribelle, ma anche dolce e sensibile:

«I miei genitori [...] ci hanno cresciuti in un clima di totale libertà, incoraggiando i viaggi, le scoperte, la politica e persino la ribellione».

E ancora:

«I rampolli Guevara erano infatti liberi come l’aria. Non c’era nessuna imposizione di orario. I miei genitori inoltre trattavano le femmine come i maschi. Non faceva alcuna differenza. La sola cosa che esigevano dai figli erano il rispetto e lo studio. [...] Da quando eravamo bambini dovevamo risolvere da soli i nostri problemi. I miei genitori non cercavano mai di trovare soluzioni per noi. Incoraggiavano la capacità di cavarsela, convinti che dovevamo fare le nostre esperienze, anche a scapito nostro se necessario. Ripetevano che la vita ci avrebbe insegnato».

Ernesto Che Guevara da ragazzo

Sono ovviamente descritti nel dettaglio i suoi viaggi e i suoi spostamenti: dal Perù al Guatemala, dal Congo alla Bolivia. Abbiamo la possibilità di venire a conoscenza di alcuni aspetti del Che rimasti finora in ombra.
Con un linguaggio scorrevole, a tratti nostalgico e divertente – mentre scorriamo tra le pagine nomi di figure impattanti della nostra storia come Fidel Castro, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Camilo Cienfuegos – Juan Martin Guevara ci regala numerosi aneddoti, storie e immagini.

Voglio ora porgergli qualche domanda personalmente, per voi lettori. 

La prima domanda Le sarà stata posta un milione di volte, ma voglio assolutamente fargliela: cosa è significato e cosa significa per Lei essere il fratello di Ernesto Che Guevara?
Da quando Ernesto Guevara è diventato Il Che, io ho iniziato a essere sempre più il “fratello del Che” piuttosto che Juan Martin Guevara. La mia risposta alla tua domanda può sembrare un cliché ma non lo è. Sono fratello di sangue di Ernesto e compagno di idee del Che e, per me, questo non è un peso bensì un’importante responsabilità. Quando mi chiedono se sono vissuto all’ombra di mio fratello, io rispondo di no: sono cresciuto e vivo sotto la sua luce. Proprio per questo lavoro alacremente al progetto della fondazione “Che vive” e, proprio lavorando a questi progetti, ho concluso che la presenza dell’immagine di Ernesto su bandiere, gadget e magliette ha una sua importante ragione di essere. Tale presenza rappresenta l’ispirazione e l’intuizione che i popoli e le società hanno preso dal Che, comprendendo che il cammino da lui percorso era, ed è, assolutamente necessario.

Il Che oramai è un’icona mondiale. Non crede che, vista la sua avversione per il consumismo, ci possa essere stata un’operazione mirata – del capitalismo – per delegittimarne l’essenza?
L’immagine del Che è tra le più riconosciute al mondo. Molte volte è stata banalizzata, probabilmente attraverso campagne per minimizzarlo e delegittimarlo, ma quello che bisogna chiedersi è come mai, dopo cinquant’anni dal suo omicidio, continua ad apparire in tutti i luoghi nei quali c’è una lotta popolare. Il suo esempio e gran parte del suo pensiero sono ancora validi e questo lo rende ancora un nemico per il capitalismo. Come scrisse Galeano in El Nacedor: «Perché il Che ha questa pericolosa abitudine di continuare a rinascere? Quanto più lo insultano, lo manipolano, lo tradiscono o mentono sulle sue idee e i suoi atti, tanto più il Che nasce. Anzi, è quello che nasce più di tutti. Non sarà perché disse quello che pensava e fece quel che diceva? Qualcosa di straordinario in un mondo dove le parole e i fatti raramente si incontrano e se si incontrano non si salutano perché non si conoscono».

Juan Martin Guevara

Sicuramente Ernesto l’ha influenzata molto, essendo suo fratello maggiore e avendo una forte personalità. C’era qualcosa, in ambito politico o sociale, per cui la pensavate in modo diverso?
In realtà l’influenza di Ernesto non fu molta all’inizio. È difficile immaginarlo perché si pensa sempre a lui come il Che, ma in realtà era semplicemente uno dei miei fratelli. Probabilmente il più matto. Come fratello maggiore non mi ha mai dato direttive, istruzioni o cose simili. Mi cercava per divertirsi e anche io cercavo lui. Quello che diede la svolta a tale situazione fu la partecipazione di Ernesto al Movimento 26 Luglio. La rivoluzione cubana ebbe un’influenza definitiva su un gran numero di giovani dell’epoca tra i quali c’ero, naturalmente, anche io. Già nel 1958 del resto, durante la scuola secondaria, ero diventato il segretario del Centro degli studenti della mia scuola.
Per quanto riguarda le divergenze, oggi credo che fece troppo affidamento sull’appoggio che si attendeva dal Partito Comunista Boliviano, appoggio che era già stato accordato a La Habana – dal suo Segretario generale Monje – e che si trasformò nella richiesta di mantenere la direzione una volta che il Che fosse stato in Bolivia, cosa che in realtà non era stata concordata. Considero però una menzogna mirata ciò che si dice sull’abbandono di Fidel, ovvero che le differenze presenti a Cuba fecero in modo che il Che partisse per il Congo, poi per la Bolivia, ecc. Addirittura c’è chi sostiene che avesse tendenze suicide. Nulla di più falso.
Alla fine trionfò. Come lui stesso disse: «Nelle vere rivoluzioni si trionfa o si muore».

Cos’è per Lei la giustizia? Cos’era per suo fratello?
Questa è la domanda più difficile che mi ha posto.
La giustizia è qualcosa che cambia da persona a persona a seconda della fase storica, delle classi sociali e di moltissime altre varianti. È un concetto fortemente relativo.
Per gli abitanti dell’America, prima dell’arrivo dei conquistatori bianchi, il giusto non corrispondeva a quello che era giusto per gli europei.
Per gli schiavi africani in Nord America, la giustizia era esattamente l’opposto di quello che i loro schiavisti imponevano.
Accade anche oggi: il concetto di giustizia delle classi sociali superiori non coincide con quello delle persone provenienti dagli strati più poveri della società.
C’è inoltre anche un’idea superiore di giustizia che è quella divina: la promessa che chi non sarà ingiusto in questa vita, verrà ricompensato con il paradiso!
In poche parole, abbiamo vari giudizi e varie ingiustizie a seconda del metro di misura utilizzato. Nel nostro mondo odierno, globalizzato, il metro di misura dei poveri è in centimetri e quello dei potenti in chilometri!
A questo proposito, voglio citare proprio le parole di mio fratello che, credo, possano essere utili per la risposta: «Le leggi del capitalismo, cieche e invisibili alla maggioranza, agiscono sull'individuo senza che ci pensi. Vede davanti a sé solo la vastità di un orizzonte apparentemente infinito. È così che la dipingono i propagandisti capitalisti, che pretendono di trarre una lezione dall'esempio di Rockefeller - che sia vero o no - sulle possibilità di successo. La quantità di povertà e sofferenza richieste per l'emergere di un Rockefeller, e la quantità di depravazione che l'accumulo di una fortuna di tale portata comporta, sono escluse dal quadro, e non è sempre possibile far vedere alla gente in generale questo».

Il Che mio fratello

di Juan Martin Guevara e Armelle Vincent
Giunti Editore - 2017

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Flora Fusanelli

Flora Fusarelli

Appassionata di letteratura e autrice di numerose recensioni di libri, si occupa di editoria e ha pubblicato il suo primo romanzo "Le deboli".

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