Bilal: viaggio di un infiltrato verso l’Europa

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Bilal: viaggio di un infiltrato verso l’Europa

| Giuseppe Di Matteo

Un’intera generazione è cresciuta leggendo le inchieste di Fabrizio Gatti, una delle firme più nobili dell’Espresso. E ha conosciuto Bilal, il suo alter ego, al quale Gatti ha regalato per anni le vesti lacere e i sogni di tanti migranti che cercano di arrivare nella parte più ricca e privilegiata del mondo attraversando l’Africa e il Mediterraneo. Un esercito di schiavi e disperati, bollati con il marchio di clandestini, che intravede l’eldorado nella sagoma rassicurante dell’Europa e, in generale, di un Occidente che ostenta la sua ricchezza senza ritegno ma non esita a rimuovere con nonchalance parte del suo passato. Per raccontare la storia di queste persone bisognava intrufolarsi necessariamente nelle loro vite e diventare uno di loro. Ed è ciò che Gatti, dimostrando non poco coraggio, è riuscito a fare, «assumendosi», com’era capitato a un altro gigante del giornalismo come Stig Dagerman, «la responsabilità dello sguardo» (così Giorgio Fontana nel suo saggio a margine di Autunno tedesco, Iperborea, 2018). Ed è soprattutto così che Bilal, da identità fittizia, si è trasformato anche in un poderoso libro-inchiesta (il cui sottotitolo è Il mio viaggio da infiltrato verso l’Europa) pubblicato nel 2008 da BUR e riproposto nel 2022 da La nave di Teseo (486 pag., 19 euro). Un viaggio straordinario, durato quattro anni, per il quale si possono spendere talune definizioni - Odissea dei dannati su tutte - senza correre il rischio di scadere nella retorica. Manca il riparo consolatorio della poesia, è vero. E tuttavia, la penna di Gatti è tutt’altro che fredda. Annota, sa essere chirurgica. E ha il coraggio di schierarsi. L’obiettivo è costringere chi legge a guardarsi negli occhi. Perché la storia di Bilal è, inevitabilmente, anche la nostra, e per capirlo sono sufficienti poche pagine.

Fabrizio Gatti

Il racconto comincia a Dakar, la capitale del Senegal e, seguendo la cosiddetta rotta degli schiavi, arriva fino alle porte del Mediterraneo. Lungo il tragitto sfilano i destini di uomini senza scrupoli (scafisti, militari corrotti, contrabbandieri, terroristi), ma anche di lavoratori e diseredati in cerca di uno spiraglio di luce. Il benessere è lì, dall’altra parte di quel mare che bagna due pianeti vicini e diversi, e rimbalza sotto forma di voci incontrollate, esperienze realmente vissute, perfino slogan da stadio. Per raggiungerlo bisogna entrare in una specie di inferno dantesco, che prevede le sue frontiere e le sue leggi non scritte. Gatti, come un moderno Virgilio, affonda la sua lama di parole nella piaga di un dramma collettivo e ne racconta ogni aspetto, ma senza quel pietismo tipico di certi reportage d’accatto e non risparmiando qualche schiaffo morale, ben argomentato, a chi preferisce girarsi dall’altra parte. E così, dal mondo sommerso in cui sgomitano i tanti Bilal del mondo, emergono le grandi menzogne della politica internazionale, dietro le quali gli Stati si riparano per salvaguardare gli interessi economici e non la vita delle persone. «Qui nel deserto ho conosciuto la morte da vivi». È Bilal a dirlo, abbandonandosi a una delle tante confessioni dal tono quasi lirico che fanno da sipario alle lunghe giornate trascorse in cerca di una risposta a tante domande inevase.
Ma non basta. Perché l’incredibile avventura sotto copertura di Bilal continua anche nella “civilissima” Europa. A cominciare da Lampedusa, dove viene documentata con una crudezza perfino disarmante la sospensione dei diritti cui vengono sottoposti i migranti arrivati sull’isola da clandestini. L’inferno continua nelle campagne del Foggiano, dove un esercito di caporali tiene sotto scacco un esercito di invisibili. Il tutto quasi dieci anni prima della legge sul caporalato, la 199 del 2016, che cerca di combattere lo sfruttamento nel mondo del lavoro. E Gatti è stato tra i primi a parlarne.
«Schiavi. Non c’è altra categoria della storia». È ancora Bilal a dirlo, con rabbia. Ma a oltre dieci anni dalla pubblicazione del libro, arricchito nella nuova versione da un capitolo sulla guerra in Siria, c’è da chiedersi se e quanto la situazione sia realmente cambiata. In casa nostra e “a casa loro”, come viene definita frettolosamente l’Africa da qualche politico. Le cronache del 2022 non sono molto incoraggianti. La schiavitù ha infatti trovato nuove pelli in cui abitare. Anche nei Paesi più sviluppati. Ma dall’altra parte del mondo il viaggio continua.

Bilal. Il mio viaggio da infiltrato verso l'Europa
(Nuova edizione)

di Fabrizio Gatti
La Nave di Teseo - 2022

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