Il party

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Il party

| Paola Rocco

Quando Ben Fitzmaurice organizza una festa per festeggiare il suo quarantesimo nell'abbazia del Seicento acquistata assieme alla moglie Serena, l'ex compagno di collegio Martin Gilmour e sua moglie Lucy si mescolano di buon grado agli invitati che affollano le antiche sale dal pavimento di pietra. Ma il party organizzato da Ben per consolidare la propria rete di importanti amicizie si rivela anche l'occasione per un cruciale confronto con il vecchio amico, legato ai Fitzmaurice, dorati esponenti dell'high society britannica, da un'intimità che risale appunto agli anni della scuola.
E che, nel tempo, si è consolidata anche grazie al debito di gratitudine che la famiglia di Ben ha scelto di nutrire nei confronti di Martin, un po' il parente povero della situazione, coi suoi vestiti di seconda mano e il soffocante bungalow in periferia. Pur non volendolo, infatti, l'ultimo anno di college il giovane Fitzmaurice si è reso protagonista di una terribile tragedia che solo la cieca devozione dell'amico gli ha permesso di lasciarsi - all'apparenza - del tutto alle spalle.
Una devozione (Martin è innamorato di Ben) che sebbene disinteressata ha determinato un netto incremento di fortuna per il dissestato Gilmour: accolto in casa Fitzmaurice come una sorta di figlio minore e supportato anche economicamente dalla famiglia durante gli anni dell'università - e, poi, al debutto nel mondo del lavoro - Martin è diventato un noto critico d'arte, sposando la gentile e un po' confusa Lucy e restando per tutti il Miglior Amico di Ben. Che a sua volta, libero da ogni ombra, ha intrapreso una brillante carriera come consulente finanziario ed è adesso sul punto di fare il salto definitivo verso un universo ancor più scintillante, per quanto ancora necessariamente nebuloso...
Da ragazzo Martin è stato quindi usato dalla famiglia Fitzmaurice (e malamente, cinicamente, lo si vedrà alla fine); ma a sua volta l'amicizia con Ben gli ha permesso di sfuggire alla propria soffocante famiglia d'origine: una madre, la terribile Sylvia, rimasta vedova troppo presto e all'apparenza decisa a vendicarsi della sua sorte sul figlio bambino, spietatamente sottoposto a una serie più o meno fantasiosa di vessazioni che hanno lasciato il segno.
Un piano di fuga portato a termine con successo: come quando, ancora alle elementari, Martin si era reso colpevole dell'assassinio del passero ferito piombato giù nel cortile della scuola (“Sarebbe come uccidere un passero”, frase chiave ne Il buio oltre la siepe) per dare una svolta alla propria esistenza: “Non credo che davvero mi importasse di essere scoperto. Ero così stufo di tutti loro, sapete”.
Amorevolmente e a un tempo spietatamente soccorso dagli altri bambini (quella lunga agonia nella scatola di cartone sul davanzale), l'uccellino ferito viene ucciso a sassate dal piccolo Gilmour, suscitando il raccapriccio di maestra e allievi e il conseguente allontanamento del ragazzino, giocoforza iscritto da Sylvia alla Burtonbury School, l'ex collegio per figli di diplomatici che vedrà appunto sorgere l'amicizia tra il protagonista male in arnese e lo splendente Fitzmaurice.
Tra parentesi, in omaggio alla struttura circolare caratteristica della fiaba, o più semplicemente alla legge della simmetria tipica del noir, l'epilogo del romanzo sorprenderà Martin intento a pianificare in solitaria la propria vendetta su Ben con l'unica compagnia del gatto di casa. Simbolicamente, il passero ferito e poi ucciso dell'inizio si trasforma nel gattone randagio e pur sempre innominato accolto in casa alla fine (un po' come in Colazione da Tiffany, altro splendido apologo sulle creature randage e la loro incapacità quasi fisica di legarsi durevolmente a qualcuno). La vittima, alla fine, si muta in predatore: tutto il suo amore si rovescia in odio.
“Dopo tutti quegli anni a esser docile e paziente e a comportarmi bene, ero finalmente davvero incazzata” osserva anche Lucy, la gentile, accomodante mogliettina, a un certo punto della storia.
Opera quarta dell'autrice Elizabeth Day (che col suo primo romanzo, Scissors, Paper, Stone, ha vinto il Betty Trask Award), Il party ha tra i suoi plus una scrittura molto bella e benissimo tradotta, per noi, da Serena Prina. Inevitabilmente paragonato a Il talento di Mr. Ripley (“Il talento di Mr. Ripley con un pizzico di The Riot Club”, L. O'Neill) per l'ineguale sentimento d'amicizia che s'instaura tra i due ragazzi di diversa estrazione sociale e la prevedibile catastrofe finale, a me ha ricordato Il danno di Josephine Hart: lo stesso lento maturare della tragedia, una tragedia già scritta e fin da subito percepibile negli scricchiolii e nelle dissonanze del rapporto tra i protagonisti.
I sentimenti e la loro lucida latitanza o, al contrario, ipocrita esibizione sono un altro tema centrale nel romanzo della Day. Nelle prime pagine il piccolo Martin uccide il passero per estraneità: per tirare un rigo, per tirarsi fuori, per porre fine a tutto il nauseabondo teatrino che gli ha allestito intorno l'insincera, autoriflessa sollecitudine dei compagni di classe e della fasulla Mrs Love (sic), la maestra, tutti spietatamente insensibili al lento agonizzare dell'animale nella sua bara di cartone.
Il party sembra avere come interlocutori ideali appunto coloro che si sottraggono all'esibizione in questo gran teatro dei sentimenti, lo stesso che tanto appaga i cesellatori della propria immagine pubblica, quell'immagine che di sé proiettano nel mondo.
Tra l'altro Martin per lavoro fa il critico d'arte e dell'arte della comunicazione qualcosa ne sa. Significativo, in questo senso, il suo incontro al party di Ben con una popolare conduttrice televisiva: “S'era detto moltissimo della cordialità di quella donna e dei suoi modi alla mano e informali quando era diventata famosa come presentatrice di un talk show... Il momento di svolta per lei si era verificato quando aveva intervistato una ragazzina che si era esibita in un'aria d'opera assieme a un cane cantante, e che era stata respinta dalla giuria. La ragazzina s'era messa a singhiozzare, e la presentatrice le aveva gettato le braccia intorno alle spalle e se l'era tenuta stretta a beneficio della telecamera. Il giorno successivo l'immagine della conduttrice era sulla prima pagina del Daily Mail con la didascalia la nostra regina di cuori”.
Simbolicamente, una volta imbattutosi nella donna tra la folla del party Martin si rifiuterà di farla passare, spostandosi solo all'ultimo e dietro esplicita richiesta e indugiando subito dopo in pensose riflessioni (“Abbiamo così terribilmente bisogno di crederci empatici oggigiorno, come se versare delle lacrime costituisse una prova del nostro elevato grado di umanità. In realtà il nostro eccesso di emozione è una dimostrazione del nostro egoismo. Piangiamo perché vogliamo che ci vedano piangere”).
In fondo, si può dire che Il party rifletta sulla letale, pervasiva natura delle apparenze.
Certo, ci sono cose un po' tagliate con l'accetta. Per esempio Sylvia, la madre di Martin, è la classica madre frustrata e castrante ma tutto sommato non sembra avere - o quantomeno offrire alla conoscenza del lettore - strutturate motivazioni per il suo comportamento, e quel suo agire da vecchia strega col figlio appare di fatto ingiustificato. Le è morto il marito, sì, lasciandola in strettezze con un bimbo piccolo, ma com'è ovvio la cosa non può di per sé giustificare il nefando avvitarsi del personaggio su una caratura così spietatamente malevola: e culminante nella visita di Martin, ormai sposato, all'anziana genitrice, che - in parte fuori di sé per l'Alzheimer e in parte no - lo diffama di fronte alla moglie, brandendo il bastone dalla punta di gomma grigia a mo' di bacchetta magica e costringendolo alla fuga.
Tra parentesi, è questo forse il solo punto del romanzo davvero simile al Talento della Highsmith: con quel rapporto frustrante, vessatorio tra il giovane Tom Ripley e la terribile zia, che ha doverosamente accolto in casa il bambino rimasto orfano (che direbbe la gente, sennò?), ma non perde occasione per fargli pagare lo scotto di questa detestata convivenza...
E comunque fatto sta che Sylvia degenera; o magari era perversa e deteriore, danneggiata anche lei fin dall'inizio per ignoti o inesistenti motivi; e la fortuita combinazione della scomparsa del marito - spedito a imbucar biglietti d'auguri nel bel mezzo d'un gelido inverno e puntualmente deceduto con la testa fracassata sul marciapiede ghiacciato - non ha fatto che render più agevole l'espandersi della sua personalità...
Come in una favola gotica, la morte del buon re, accidentale o meno che sia, ha come risultato il regno della malvagia regina, della strega. E appunto come in una favola Il party allinea vivide immagini: il passero ferito, i biglietti rossi di sangue sul candido spessore del ghiaccio. E quell'orsetto di pezza nascosto in valigia da Sylvia come un maligno emissario, che invece di supportare e favorire lo sbarco di Martin in collegio lo mette nei guai, esponendolo alla violenta derisione dei compagni.
In totale contrasto con la sua originaria funzione di protettore, l'orsetto di Martin è ancora una volta un essere snaturato, pervertito, danneggiato dall'influsso maligno della donatrice; e insieme è incipit e motore iniziale della storia: sarà Ben a difendere il nuovo arrivato in difficoltà, e l'amicizia tra i ragazzi nascerà nel solco, ancora, di un debito di gratitudine cui Martin si manterrà fedele per buona parte della sua vita adulta. Significativamente, il primo vero scambio tra i due dopo l'episodio ha luogo durante una lezione di letteratura sulla Tempesta di Shakespeare e il personaggio di Calibano.
“Penso che Calibano sia inteso come un simbolo della schiavitù”, afferma Ben (una cosa ovvia, sottolinea il protagonista/narratore, ma non priva d'intelligenza). “È una specie di ritardato” aggiunge un altro. “Non capisce quello che gli altri stanno facendo”. Ma Ben si sfila, e in pochi secondi ribalta la questione: “Calibano non è stupido. Gli altri personaggi potrebbero pensare che lo sia, ma questo ci dice qualcosa su di loro, più che su di lui”. Ma a questo punto Martin/Calibano è già schierato col suo amico, per la vita e per la morte.
All'estremo opposto Lucy, la moglie, incarna per un po' il salvifico ruolo di principessa: comparendo in scena in molte occasioni come spalla sollecita e assolutoria e rovesciando parzialmente i termini solo alla fine (dopo essersi, però, finalmente e una volta per tutte alquanto incazzata, come si diceva più sopra). Lucy che pur avendo alle spalle una famiglia solida e amorevole è insicura, dissestata, fragile anche lei: con quella violenza subita da studentessa (e la successiva incapacità di farsi giustizia) a strutturarne ogni giorno il senso d'inadeguatezza e, insieme, la volontà di riscatto e autoaffermazione - attraverso, appunto, il riscatto, il salvataggio, la vigile protezione dell'altro.
“Mi colpisce che lei si veda come la protettrice di Martin” osserverà, a un certo punto, pure lo psicologo che ne sorveglia i progressi durante il ricovero finale in clinica psichiatrica, dopo la rissa furibonda al party di Ben. Per poi concludere: “L'illusione del potere. Ma era solo questo, non è vero? Un'illusione, intendo”. Per Lucy, che pur mostrandosi arrendevole e cortese è in realtà alquantocazzuta (nella pungente presa d'atto di Fitzmaurice), Martin è un principe stregato da sottrarre a un maligno sortilegio: e poco importa se questo salvataggio comporta, di fatto, la rinuncia alla parte più autentica di sé stessa e la scelta di volgere le spalle ai propri desideri.
“Stava cercando di fare piacere a qualcun altro. Ma si ricordava di chiedersi che cosa volesse lei in tutto questo?” le domanderà, ancora, il dottore in clinica. Il party riflette anche sulla natura ambigua dell'amore.
Ed è significativo, allora, che nel lasciare l'ospedale psichiatrico l'ultimo incontro di Lucy - una Lucy cambiata, diversa, una Lucy che era stata ficcata dietro una teca di vetro e poi, senza avvertire nessuno, l'aveva spaccata e si era aperta una via d'uscita - sia con l'indomabile Sandy. Che a sua volta è una di quelle donne che si sono ribellate, la cui voce non è stato ancora possibile mettere a tacere. E che, nell'abbracciare Lucy (ma è un addio, e lo sanno tutt'e due), le fa scivolare in mano un minuscolo pezzetto di carta piegato in due. “Dentro, con una grafia un po' tremante, c'era scritto a penna nera: Non permettere che i bastardi ti buttino giù”.

 

Il party 

di Elizabeth Day
Neri Pozza - 2019

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Paola Rocco

Paola Rocco

Autrice del romanzo giallo 'La carezza del ragno' e appassionata lettrice, scrive di mistery e venera Agatha Christie. Vive a Roma con il marito, la figlia e una gatta freddolosa detta Miss Poirot.

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